Titolo: Non essere cattivo

Anno: 2015

Regista: Claudio Caligari

 

 

 

 

Il nostro giudizio: OTTIMO

Recensione: Cristina Giammito

 

 

 

Ostia, 1995. Vittorio e Cesare sono cresciuti insieme, condividendo gioie, malesseri e vizi. Provenienti da realtà povere, si guadagnano da vivere spacciando droga e godendo del gran vantaggio economico che ne consegue. Il loro legame indissolubile, però, viene allentato dall’improvvisa e radicale decisione di Vittorio, il quale non vuole più farsi divorare dalla dipendenza, né portare a casa soldi sporchi. Difatti, inizia a lavorare onestamente e incontra una donna che gli regala emozione e stabilità. Anche Cesare è alla ricerca del benessere, ma il suo percorso sembra tortuoso e le strade che sceglie di percorrere molto simili a quelle sbagliate del passato... Claudio Caligari proietta la durezza di una realtà complicata, estremamente segnata dalla delinquenza, la quale viene vista come unico appiglio per il raggiungimento di una serenità economica. Nella prima parte, la trama riflette il legame dei due protagonisti, i quali, seppur nella loro diversità, si fondono fino a sembrare un’unica testa, aventi le medesime idee e agendo quasi all’unisono. In seguito, però, l’intreccio si dinamizza creando un solco in quell’unione dapprima così salda da sembrare indistruttibile: Vittorio sceglie la “retta via”, mentre Cesare continuerà ad essere “cattivo”, sebbene viva in lui un forte desiderio di stabilità. Il film analizza le responsabilità della vita, i concetti di giusto e sbagliato, focalizzandosi sulle conseguenze che le azioni hanno sulla vita dei personaggi. La pellicola graffia con le sue verità indigeste; ogni battuta è sentita, resa autentica da chi la recita, in ogni minuto. Borghi e Marinelli accendono lo schermo, riuscendo ad arricchire la scena anche solo con i loro silenzi. Al termine del film, sorgono spontanee delle riflessioni: forse, il mondo sta contaminando le menti affinché l’uomo percepisca la propria potenza attraverso il possedimento di denaro e il limite per poterlo ottenere, spesso, viene valicato e troppo tardi ci si rende conto di quanto ciò sia deleterio. Inoltre, sfuggire ad un vizio è una lotta che si tende a perdere, data la fittizia quiete che le sostanze suscitano in chi le consuma. Con quest’ulteriore perla artistica, Caligari ha lasciato un segno indelebile nel cinema italiano, dando prova della sua rarità, in tempi di superficialità ed estrema leggerezza. È indubbio, infine, che questi continuerà a vivere attraverso i suoi, purtroppo, pochi film.

 

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Regista: Richard Curtis

Produzione: Regno Unito

Anno: 2013

 

 

 

 

Attori: Domhall Gleeson, Rachel McAdams, Bill Nighy

Il nostro giudizio: molto buono

Recensione: Massimo Giachino

 

 

 

 

Una commedia dai risvolti romantici caratterizzata da una nota di surrealismo, capace di conquistare grazie al suo humor e ad una morale di fondo su cui riflettere.

 

TRAMA

La famiglia Lake, composta dai genitori James e Mary e dai figli, Katherine (detta Kit Kat) e Tim, più lo zio Desmond che vive in un mondo tutto suo, vivono placidamente in una grande tenuta della Cornovaglia fronte spiaggia, scandendo i tempi in base a tradizioni irrinunciabili che portano avanti da anni.

Tim, il più giovane della famiglia, ha un legame rispettoso e di complicità col padre, il quale gli rivela al compimento del 21° anno di età un incredibile segreto.

Tutti gli uomini della famiglia hanno infatti la capacità di spostarsi a ritroso nel tempo, ma esclusivamente per rivivere le proprie esperienze passate.

Dopo aver sperimentato, e capito, che anche tornando indietro il tempo non fa cambiare idea alle persone, Tim utilizza queste nuove capacità per approfittare degli eventi e giocare d’anticipo, riuscendo ad instaurare una relazione con una ragazza di nome Mary (come sua madre!), incontrata a Londra e di cui si è innamorato dal primo momento.

I due presto andranno a convivere a casa di lei, a Londra, dove ben presto decideranno di unirsi in matrimonio, in preavviso di un futuro figlio che arriverà a breve.

Mary viene presentata a casa Lake, dove viene accolta come una di famiglia, da subito benvoluta da tutti.

Dopo un matrimonio al limite del disastroso (cambiato in corso più volte tornando a ritroso nel tempo…), troviamo Tim e Mary ormai genitori, al primo compleanno della loro figlia Posy. Quel giorno, Kit Kat incorrerà in un incidente d’auto causato dall’abuso di alcool, abitudine intrapresa per colpa del suo ragazzo.

Tim torna indietro nel tempo per scongiurare quell’evento, ma al suo ritorno nella realtà scopre di avere un figlio maschio…Suo padre gli spiegherà che modificare il passato prima della nascita dei figli può compromettere il futuro di chi non è ancora nato. Tim sarà costretto quindi a far “rivivere” a sua sorella l’incidente, convincendola in seguito a cambiare rotta e lasciare il suo ragazzo per il suo bene.

Tim, ormai adulto, viene a scoprire che suo padre ha i giorni contati a causa di un cancro incurabile e, non potendo salvarlo in alcun modo, torna spesso a ritroso nel tempo per passare più tempo possibile con lui prima di salutarlo per l’ultima volta. In una di queste “visite”, James gli rivelerà il segreto per usare la sua capacità nel modo giusto, ovvero rivivere sempre la stessa giornata due volte. La prima con tutte le preoccupazioni e tensioni quotidiane, la seconda assaporando tutti i risvolti dolci e felici che quel piccolo lasso di tempo può donare…

 

 

 

RECENSIONE/CONSIDERAZIONI FINALI

Se si dovesse trovare un solo aggettivo per definire questa commedia, probabilmente quello che meglio la descriverebbe sarebbe “delicato”.

Richard Curtis, regista noto per “Love Actually” e sceneggiature del calibro di “Notting Hill” e “Quattro matrimoni e un funerale”, tira fuori dal cilindro un’altra commedia romantica di spessore, tutte accumunate da quell’aria British che ne hanno decretato il successo.

In questo caso viene aggiunta la componente “surreale” (i viaggi del tempo) che non solo diventa una parte fondamentale ed imprescindibile del film, ma dopo averne capito il meccanismo diventa addirittura una situazione quasi normale, creando un paradosso nel paradosso.

La capacità di caratterizzare i protagonisti è un marchio di fabbrica del regista, dall’insicuro Tim allo spirito libero Kit Kat, dalla madre monoespressiva al padre-amico saggio, passando per l’esuberante e sognatrice Mary.

Non passa inosservata la crescita dei personaggi stessi, evidenziandone l’evoluzione non solo a livello anagrafico ma soprattutto a quello caratteriale. I vari passaggi della vita forgeranno il carattere di ognuno a loro modo, in particolare seguiremo la vita di Tim. Lo vedremo passare da timido adolescente a uomo sicuro di sé che agisce per il bene della famiglia.

I viaggi nel tempo sono invece un pretesto non solo narrativo, ma soprattutto spunto di riflessione. Daranno il via ad una serie di domande che sorgono spontanee durante la visione del film, la più evidente delle quali ci porta a chiedere se fossimo noi nella condizione di poter rivivere il nostro passato, cosa vorremmo cambiare?

L’inevitabile spunto finale ce lo regala invece papà James, indicandoci come godere delle cose che viviamo quotidianamente. Ovviamente non possiamo rivivere due volte lo stesso giorno, ma probabilmente vuole solo insegnarci che le stesse situazioni che viviamo quotidianamente hanno due chiavi di lettura, sta a noi capire quale vogliamo cogliere…

Tra gli attori svettano ovviamente Tim (Domhall Gleeson), a cui ci si affeziona subito grazie a quell’aria maldestra e simpatica e Mary (Rachel McAdams), scanzonata quanto basta per creare la giusta alchimia con il suo partner cinematografico. Ma una spanna sopra tutti merita la citazione James (Bill Nighty), un padre sopra le righe ma mai eccessivo, che ha nella naturalezza e nella sua particolare visione della vita le doti migliori.

In sintesi una commedia meno pubblicizzata di altre già citate, ma permeata di un humor intelligente e di una sceneggiatura che non cede in passi falsi, risultando non solo gradevole ma addirittura ricca di profondità e di dialoghi costruiti con cura, che vale sicuramente la visione.

 

 

LA CURIOSITA’

Bill Nighty ha recitato in tutti e 3 i film che vedono Curtis come regista, ovvero “Love Actually” (2003), “I Love Radio Rock” (2009) e, appunto, “Questione di tempo” (2013).

 

 

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Regista: Breck Eisner

Produzione: Stati Uniti d’America

Anno: 2010

Attori: Timothy Olyphant, Radha Mitchell, Joe Anderson, Danielle Panabaker, Christie Lynn Smith, Brett Rickaby, Preston Baileys

 

 

Il nostro giudizio: DISCRETO/BUONO

Recensione: Massimo Giachino

 

 

 

Un virus sfugge di mano e si diffonde in una piccola cittadina. Un incubo ad occhi aperti che pare inarrestabile.

 

TRAMA

David Dutton è lo sceriffo di una piccola cittadina americana di campagna, chiamata Ogden Marsh. Sua moglie Judy è medico e aspetta un bambino.

Gli abitanti della cittadina sono persone semplici e rispettose della legge, che David fa rispettare con solerzia, aiutato dal fido braccio destro Russell.

Ma in breve le cose iniziano a cambiare. Alcune persone sembrano essere soggette a raptus di follia, seminando panico e morte per la città.

Quelli che sembrano sporadici attacchi di violenza trovano presto una spiegazione: un aereo che trasportava un misterioso virus da laboratorio denominato “Trixie” è precipitato nel fiume che rifornisce il sistema idrico della città, propagandosi e infettando gli abitanti.

Ben presto la città è assediata dagli infetti ed in preda al caos, ed il governo invia squadre militari per impedire l’accesso o la fuga alla città, “selezionando” in appositi campi allestiti i sani dai malati, considerati quest’ultimi irrecuperabili.

Come prevedibile, ben presto anche questo sistema collasserà, lasciando la città allo sbando e senza via di uscita.

David e Judy, insieme a Russell e Becca (collega di Judy), riusciranno tra mille difficoltà a sopravvivere e scampare ai pericoli della città, cercando di guadagnare la libertà fuggendo fuori città.

Ma tutte le vie sono sbarrate e, soprattutto, vengono a scoprire un’orrenda verità. La divisione tra sani ed infetti è solo di facciata, tutti vengono sterminati per evitare il diffondersi della piaga, e come se non bastasse, è predisposto un piano per distruggere la città e cancellare definitivamente ogni traccia.

Purtroppo, durante la loro fuga Russell e Becca periranno, il primo per aver contratto il virus mentre Becca verrà uccisa in un agguato, mentre David e Judy riusciranno a fuggire a bordo di un camion, anche se verranno investiti dalla bomba d’urto causata dall’esplosione nucleare innescata per polverizzare la città.

Ma sarà veramente la fine dell’incubo?

 

 

 

RECENSIONE/CONSIDERAZIONI FINALI

Brek Eisner dirige questo nuovo adattamento della pellicola firmata dal maestro dell’horror George A. Romero del 1973.

I remake sono da sempre terreno particolarmente rischioso, in quanto si rischia di compromettere un’opera molto amata del passato o traviarne comunque il concetto, andando nel migliore dei casi a scontentare i fan dell’opera originale.

In questo caso ci troviamo di fronte ad un buon prodotto, senza necessariamente classificarlo comunque come opera memorabile.

Il concetto di base è quello dell’incondizionata paura di perdere tutto ciò che si è costruito con fatica, dove ogni regola di pacifica convivenza venga spazzata via da un accadimento imprevisto e incontrollabile, come appunto un virus particolarmente contagioso (ricorda qualcosa tutto ciò?!).

Un buon cast di attori principali, che magari non sono nomi di primissimo piano ma comunque funzionali alla causa, ed uno svolgimento dinamico e mai statico sono i punti forti della pellicola, che riesce a rendere quel senso di angoscia e paura imminenti tanto cari ai fil horror.

Alcune scene ad alto tasso gore non sono per tutti i palati ma denotano capacità e brivido nell’azzardo di cui va dato atto.

Vista la particolare truculenza di alcune scene del film originale, Eisner ha ritenuto più opportuno sostituirle con altre più politically correct, senza per questo perdere di efficacia.

La città in fiamme e allo sbando è particolarmente riuscita, gettando lo spettatore nello sconforto e senza punti di riferimento.

Riguardandolo oggi, in tempi di pandemia e Covid-19 risulta particolarmente da brividi il passaggio in cui vengono selezionati i sani e gli infetti semplicemente misurandone la temperatura. Chi presenta una gradazione troppo alta e fuori norma non ha un piacevole futuro che lo aspetta…tutto era già scritto!

Va da sé che l’altra chiave di lettura della pellicola rimane quella di assoluta diffidenza verso qualsiasi organo governativo. Non vengono mai fatti nomi precisi ma “il governo” è quello che fa gli esperimenti segreti, quello che nasconde l’aereo precipitato con il suo terribile contenuto, quello che finge di voler salvare la popolazione per poi annientarla indistintamente…

Quello che resta sono degli uomini che non hanno più certezze, ma possono aggrapparsi solo tenacemente a quello che gli è rimasto di più caro: la famiglia.

 

LA CURIOSITA’

Il film è risultato particolarmente interessante anche al creatore della pellicola originale, ossia George A. Romero, che ci ha tenuto a fare i complimenti al regista.

 

 

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13 Days

 

Regista: Roger Donaldson

Produzione: Stati Uniti

Anno: 2000    

Attori: Bruce Greenwood, Walter Adrian, Kevin Kostner

 

 

 

 

 

Il nostro giudizio: OTTIMO

Recensione: Marypollon

 

Che cos’è realmente il potere? Cosa succede in determinate stanze?  

Quale deve essere la giusta matrice delle scelte da compiere quando abbiamo il potere di farlo e quello di imporle, e cerchiamo di esercitarlo con massimo senso di responsabilità? 

Esistono alternative che possano permettere di massimizzare la propria posizione senza peggiorare quella degli altri? 

O senza che il sistema reagisca con un ulteriore mossa contro il proprio equilibrio? 

 

In altri termini: è possibile, come insegna la teoria dei giochi, trovare o creare uno scenario in cui nessuno possa migliorare senza peggiorare fattivamente la situazione dell’altro? 

 

Thirteen Days - Il film di Donaldson nonostante porti il titolo del libro di Robert Kennedy Thirteen Days: A Memoir of the Cuban Missile Crisis, per lo script ha attinto da diversi fonti tra le quali The Kennedy Tapes: Inside the White House During the Cuban Missile Crisis di Ernest May e Philip Zelikow puntando tutto sul cast che oltre a somigliare alle loro controparti storiche, forma una solida amalgama che rende la messinscena oltremodo credibile

 

Ho molto amato questo film, presentato anche nel corso di Teoria dei Giochi dell’EMBA che ho fatto presso il MIP, Business School del Politecnico di Milano ; preciso subito che questa recensione non puo’ che essere estremamente semplificata di quella che è veramente un’ottima e consigliata rappresentazione di un momento storico di immensa rilevanza e tensione. 

 

Thirteen Days è infatti un altro “film-simbolo” e vero e proprio “cult-movie” per gli appassionati di negoziazione e risoluzione alternativa delle controversie. 

 

I fatti:  

Kenny O’Donnell è l’assistente particolare del Presidente degli Sati Uniti d’America John Fitzgerald Kennedy. Il 15 ottobre 1962, in pieno periodo di guerra fredda, Kenny O’Donnell si reca come ogni giorno presso la Casa Bianca ma non sarà per lui una giornata normale, in quanto il Presidente Kennedy riceverà la sconcertante notizia dell’installazione da parte delle truppe sovietiche di missili nucleari nello Stato di Cuba.  

Questi missili puntano minacciosamente verso gli Stati Uniti che si sentono accerchiati e in grave pericolo. Kennedy, con l’aiuto del fratello Robert e dell’assistente O’Donnell, deve decidere come agire e quale alternativa scegliere tra un attacco diretto a distruggere i missili nucleari e ad occupare Cuba, Stato satellite dell’Unione Sovietica, o un tentativo di risoluzione diplomatica della questione attraverso un confronto con le più alte cariche sovietiche. 

 

Nell’ottobre 1962, il mondo visse tredici giorni sull’orlo della Terza Guerra Mondiale: l’installazione da parte dell’URSS di missili nucleari a Cuba, portò a un breve ma pericoloso braccio di ferro tra il Presidente degli Stati Uniti J. F. Kennedy e il Segretario del PCUS Kruscev. Ovunque la popolazione attese con ansia l’esito del grave scontro politico, diplomatico e militare”, recita la presentazione del DVD del film, indicando il percorso attraverso il quale si è sviluppata (nello spazio di meno di due settimane) una delle best practices negoziali del periodo della Guerra fredda, quando si era ormai giunti ad un passo dal baratro. 

 

Tredici giorni in cui americani e russi saranno appesi sull’orlo della terza guerra mondiale, l’amministrazione Kennedy vede al fianco del Presidente il fratello Robert (Steven Culp) e il fidato consigliere politico Kenneth O’Donnell (Kevin Costner) che lo sosterranno durante le innumerevoli pressioni che subirà dai militari affinchè si mostrino i muscoli con il nemico. 

 

Il Presidente John Kennedy (Bruce Greenwood) è al governo e una missione di ricognizione sull’isola di Cuba scopre alcuni installamenti missilistici in fase di allestimento, l’informazione giunta nella sala ovale darà il via ad una crisi senza precedenti con l’Unione Sovietica. 

Kennedy riuscirà non senza fatica e qualche momento di profonda crisi a non ricorrere alle armi, grazie ad un escamotage diplomatico dell’ultima ora, riuscendo ad archiviare la crisi e ad evitare un catastrofico conflitto nucleare. 

Dal punto di vista negoziale questo film mostra come in realtà il potere sia molto più complesso di quanto appaia, data la presenza di molti attori diversi, al di là del semplice e principale contrapporsi del blocco americano e di quello sovietico.  

 

I principali attori in gioco sono i seguenti: 

PRESIDENTE 

CONGRESSO  

PENTAGONO 

MARINA 

STAFF CIA 

LA STAMPA  

 

Quali sono i loro obiettivi? Sono tutti diversi ed a volte marcatamente contrastanti  

Esiste in altre parole un forte trade off tra i medesimi:

 

MANTENERE IL PRESTIGIO 

SALVAGUARDARE LA NAZIONE  

EVITARE LA GUERRA 

GARANTIRE LA SICUREZZA 

 

In questo film, troviamo diverse scene sulla negoziazione, in tutte le modalità di rappresentazione possibili: la dimensione “esterna” del negoziato, innanzitutto, che si realizza attraverso i contatti ufficiali ed informali tra americani e sovietici; poi, la dimensione “interna”, che riguarda il confronto tra il Presidente americano ed il suo staff da un lato e i “falchi” dello Stato maggiore della Difesa americano dall’altro (con questi ultimi che chiedono al presidente una risposta “forte”, che passi attraverso la via militare, all’installazione dei missili russi a Cuba) ed anche all’interno dello stesso staff di Kennedy, circa la scelta della migliore strategia da adottare.  

Le scene sono utili per approfondire la scelta di Kennedy di dare, nel corso della crisi, risposte flessibili, che hanno aperto la strada all’accordo definitivo. 

Che alternativa seguire? Le alternative alle mosse sovietiche di installazioni missili a Cuba sono le più diverse  

 

IGNORARE IL FATTO 

FARE PRESSIONI DIPLOMATICHE 

ATTACCO NAVALE 

ATTACCO AEREO - E quale tipologia di attacco? Uno rapido prima che i missili siano operativi, o uno lento ? 

INVASIONE 

BLOCCO 

 

Ma per evitare la guerra nucleare occorre far affidamento all’indebolirsi della posizione dell’avversario, ed ovviamente non abbiamo informazioni dirette sulle sue reazioni o opinioni. 

 

Seguire i falchi o seguire le colombe: cosa dovrebbe decidere Kennedy? 

 

L’iniziale non prendere decisioni di Kennedy è visto da alcuni come debolezza; è infatti vittima di una forte Moral SUASION da parte dei cosiddetti falchi militari perché JFK agisca con violenza. 

In una delle scene più interessanti, i vertici militari arrivano a dire a JFK arrivano a dirgli: LEI è IN UN BRUTTO GUAIO PERCHE LA SUA VITA POLITICA POTREBBE DECADERE da un momento all’altro. JFK risponderà dicendo che in un brutto guaio, volenti o nolenti, ci sono tutti assieme.  

Lo stato maggiore alimenta contro la volontà del presidente uno stato di tensione dannoso e pericoloso, ma non puo’ esautorare  lo Stato Maggiore o la minaccia a Cuba sembrerà internamente un bluff e un colpo di stato. 

 

Confiderà infatti al suo assistente: NONOSTANTE LA LORO SUSCETTIBILITA ALLA FINE I MILITARI TROVERANNO SEMPRE ME.

 

Il ruolo della STAMPA e di quali informazioni far trapelare è oltremodo interessante: NON SI PARLA CON LE PERSONE CHE RENDONO LA SITUAZIONE INCANDESCENTE, SONO STRONZI CHE POSSONO RESTARE TAGLIATI FUORI DAI GIOCHI.  

 

Krushev deve scegliere tra ritirarsi e resistere e sta a Kennedy cercare di prevedere la mossa dell’avversario. 

 

IL RUOLO DELLE COLOMBE è quello più vicino alla posizione del presidente,  

Le risposte di Kennedy in realtà non sono tanto frutto di una chiara decisione iniziale, bensì conseguenza di una progressione di scelte caute (e sempre concordate all’interno di un gruppo ristretto di suoi “fedelissimi”, in cui ritroviamo il fratello, Bob Kennedy, e Kenny O’Donnell, interpretato come dicevamo da Kevin Costner, Assistente del Presidente), che si inseriscono in un equilibrio molto delicato, che oscillano tra il tentativo di adottare risposte assertive e la necessità di non fare scelte ultimative. 

In altri termini; se la risposta americana fosse troppo debole, verrebbe percepita come debolezza e c’è il rischio di uscirne schiacciati; ma se fosse troppo dura porterebbe i sovietici a divenire ancora più risoluti 

Inoltre, se gli stati uniti minacciassero prima un attacco e facessero poi un tentativo di dialogo – riappacificazione, se questo non fosse accettato, ci sarebbe il reale rischio che i sovietici attacchino per primi. 

Interessante notare come lui non si esprime se non con i suoi fidati consiglieri, ma monitori la situazione costantemente, senza esternare troppo.  

Le forze armate in realtà vogliono riscattarsi per la baia dei porci e lo RICATTANO – lo stato maggiore costringe all’attacco.  

 

Aiuto degli alleati dell’organizzazione americana per approvare la quarantena.

 

Importante nel film è la scena in cui si fa riferimento alla lettura fatta da Kennedy del libro LE ARMI DI AGOSTO. E’ un chiaro ricordo della Grande Guerra, dove entrambi gli eserciti pensavano di essere perfettamente equilibrati e di conoscere le armi dell’avversario, sulla base di tecnologia del passato e informazioni del passato; questo si rivelo’ invece una grande tragedia per entrambe le fazioni.  

 

La seconda frase che risuona è questa: LA GUERRA E UNA CONTESA MORALE CHE VIENE VINTA NEL TEMPO PRIMA DI ESSRE COMBATTUTA – di SUN TZU. 

 

 

In questo senso “brillano” (tra le altre) alcune scene, significative dell’approccio di Kennedy: quella del blocco navale, in cui il Segretario della Difesa americano Robert Mc Namara spiega che l’incontro tra le navi americane e quelle sovietiche al largo di Cuba non può seguire le normali procedure di ingaggio adottate dalla Marina militare (che avrebbe portato, in caso negativo, ad un attacco, con conseguenti pericolose ripercussioni a livello mondiale), ma deve piuttosto essere “interpretato” come un dialogo diretto tra il Presidente americano e il Segretario del PCUS; in tal senso è UNA NUOVA FORMA DI COMUNICAZIONE CON IL NEMICO.

 

Altra scena chiave è quella del confronto all’interno delle Nazioni Unite tra l’ambasciatore sovietico Valerian Zorin e quello americano Adlai Stevenson, in cui quest’ultimo risponde punto per punto alle accuse del collega, portando prove circa l’installazione dei missili sovietici a Cuba (qualcuno ha richiamato alla mente questo episodio a proposito del famoso discorso del Segretario di Stato USA Colin Powell del febbraio 2003 al Consiglio di Sicurezza ONU).  

 

Infine, l’incontro decisivo tra l’ambasciatore sovietico negli USA, Anatoly Dobrinin e Robert Kennedy, una scena dal clima molto teso ed allo stesso tempo disperato, nella quale i rischi di una rottura, a questo punto con ogni probabilità definitiva, si “mescolano” alle speranze di accordo. Ed è proprio in questa scena che emerge l’idea che porterà alla soluzione della crisi.

 

Il film termina con la scena che riportiamo, in cui si sentono le parole originali del Presidente Kennedy, che, a mio avviso, rappresentano la degna conclusione ad una vicenda tra le più drammatiche della storia dell’umanità:

 

“Che tipo di pace cerchiamo? Sto parlando di una pace vera.

Il tipo di pace che rende la vita sulla terra degna di essere vissuta.
Non solamente la pace nel nostro tempo, ma la pace in tutti i tempi.
I nostri problemi vengono creati dall’uomo, perciò possono essere risolti dall’uomo.
Perchè in ultima analisi, il legame fondamentale che unisce tutti noi è che abitiamo tutti su questo piccolo pianeta.
Respiriamo la stessa aria. Abbiamo tutti a cuore il futuro dei nostri figli.

E siamo tutti solo di passaggio”. 

 

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Regista: Tim Burton

Produzione: Stati Uniti d’America

Anno: 1990

Attori: Johnny Depp, Winona Ryder, Dianne Wiest

 

 

 

Il nostro giudizio: Molto buono

Recensione: Massimo Giachino

 

 

 

Una visionaria favola dark senza tempo che, in pieno stile “Burtoniano”, mette in primo piano i sentimenti di un “diverso”, contrapponendoli al falso perbenismo della borghesia contemporanea.

 

TRAMA

Edward è un uomo artificiale che vive in un castello decadente, appena al di fuori di un piccolo borgo residenziale. Il suo creatore non riuscì a terminarlo in quanto morì poco prima di donargli delle vere mani, lasciandolo solo e senza nessuno che possa badare a lui.

L’unica che si accorgerà di lui, quasi casualmente, sarà Peggy, una venditrice Avon, la quale abita con la sua famiglia in quel piccolo borgo dalle casette pastello tutte uguali. Peggy accoglierà Edward nella sua famiglia e sarà l’unica a farlo per occuparsi veramente di lui.

L’arrivo di quello strano ragazzo risveglierà le annoiate famiglie del quartiere, sempre in cerca di qualche pettegolezzo che movimenti le loro vite.

Ma se in principio sarà la novità ad elettrizzare tutti quanti, presto ognuno cercherà di avvicinare Edward per il proprio tornaconto (chi per aprire un negozio di acconciature, chi per svaligiare una casa…), sfruttando le abilità delle sue lame.

Edward si innamorerà presto di Kim, figlia di Peggy. Ma se lei inizialmente sembra spaventata da quel ragazzo così strano, si accorgerà poco per volta anche lei di essere innamorata della sua sincerità e dei suoi modi così gentili.

Ma sarà proprio questo amore impossibile la causa della tragedia che sconvolgerà il quartiere, che troverà un facile alibi nello scaricare tutte le colpe sul “diverso” per tornare alla propria quotidianità, nascondendo pregiudizi e facciate di comodo tipiche della società contemporanea.

 

RECENSIONE/CONSIDERAZIONI FINALI

 

Quando Johnny Depp non era ancora un idolo di fama internazionale e si apprestava ad affacciarsi timidamente ad Hollywood, ebbe la fortuna di incontrare un giovane e visionario regista, iniziando una collaborazione che diede fama e notorietà mondiale ad entrambi.

Edward mani di forbice” sancisce l’inizio di questo fortunato sodalizio, e il film potrebbe tranquillamente essere etichettato come una “favola noir” con una spruzzata di gotico.

Edward è un “diverso”, o meglio un “freak” (come piace definirlo Burton), capace di recitare quasi esclusivamente grazie all’espressività della sua mimica facciale e dei suoi gesti, avvicinandosi addirittura al cinema muto in alcuni passaggi.

Altra figura importante del film è una giovanissima Wynona Ryder che qui interpreta Kim, ovvero la figlia di Peggy, la donna che accoglie Edward in casa sua come un membro di famiglia.

Kim risulterà fondamentale nell’economia della storia a più livelli. Sarà innanzitutto l’unica ad amare Edward per quello che è, accettandolo nella sua imperfezione senza tentare di “normalizzarlo” come faranno invece, ognuno a suo modo, i variopinti abitanti del quartiere.

In secondo luogo saranno loro due a dare vita ad alcuni dei momenti più iconici ed emozionanti della pellicola. Chi ricorda il film non potrà dimenticare l’angelo di ghiaccio scolpito con maestria dalle forbici/mani di Edward sotto la prima neve, oppure l’abbraccio tra i due, condito da poche ma strazianti parole: “Stringimi” / “Non posso…”.

Non passa inoltre inosservata la satira sulla società contemporanea, dove ognuno guarda ai propri interessi sfruttando le capacità (in questo caso) di Edward, per additarlo come colpevole appena incomprensioni ed incidenti prenderanno il sopravvento.

Non sfugge nemmeno il paragone ad un classico della letteratura come Pinocchio, pur con le debite distanze.

L’inventore che dà vita ad Eward gli legge libri, lo accudisce e cerca poco per volta di renderlo più umano, per sopperire alla sua solitudine nel castello.

In sintesi, un racconto senza tempo, una favola dolce/amara che incarna perfettamente lo spirito visionario del suo creatore, le cui ambientazioni più riuscite, quelle del castello, anticiperanno di qualche anno quelle che tutti ricordiamo nel suo maggior capolavoro: Nightmare Before Christmas.

Un cenno al compianto Vincent Price, che spirerà poco dopo l’uscita del film, a causa di una malattia che già da tempo debilitava l’attore.

 

LA CURIOSITA’

Alcuni insistenti voci sostenevano che il ruolo di Edward potesse essere interpretato addirittura da Michael Jackson! Non vi sono prove certe in proposito, l’unica certezza al riguardo è che lo stesso artista volle a tutti i costi acquistare le “mani” originali di Edward, cosa che infatti avvenne.

Alla morte di Michael Jackson questi cimeli vennero venduti all’asta.

 

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