13 Days

 

Regista: Roger Donaldson

Produzione: Stati Uniti

Anno: 2000    

Attori: Bruce Greenwood, Walter Adrian, Kevin Kostner

 

 

 

 

 

Il nostro giudizio: OTTIMO

Recensione: Marypollon

 

Che cos’è realmente il potere? Cosa succede in determinate stanze?  

Quale deve essere la giusta matrice delle scelte da compiere quando abbiamo il potere di farlo e quello di imporle, e cerchiamo di esercitarlo con massimo senso di responsabilità? 

Esistono alternative che possano permettere di massimizzare la propria posizione senza peggiorare quella degli altri? 

O senza che il sistema reagisca con un ulteriore mossa contro il proprio equilibrio? 

 

In altri termini: è possibile, come insegna la teoria dei giochi, trovare o creare uno scenario in cui nessuno possa migliorare senza peggiorare fattivamente la situazione dell’altro? 

 

Thirteen Days - Il film di Donaldson nonostante porti il titolo del libro di Robert Kennedy Thirteen Days: A Memoir of the Cuban Missile Crisis, per lo script ha attinto da diversi fonti tra le quali The Kennedy Tapes: Inside the White House During the Cuban Missile Crisis di Ernest May e Philip Zelikow puntando tutto sul cast che oltre a somigliare alle loro controparti storiche, forma una solida amalgama che rende la messinscena oltremodo credibile

 

Ho molto amato questo film, presentato anche nel corso di Teoria dei Giochi dell’EMBA che ho fatto presso il MIP, Business School del Politecnico di Milano ; preciso subito che questa recensione non puo’ che essere estremamente semplificata di quella che è veramente un’ottima e consigliata rappresentazione di un momento storico di immensa rilevanza e tensione. 

 

Thirteen Days è infatti un altro “film-simbolo” e vero e proprio “cult-movie” per gli appassionati di negoziazione e risoluzione alternativa delle controversie. 

 

I fatti:  

Kenny O’Donnell è l’assistente particolare del Presidente degli Sati Uniti d’America John Fitzgerald Kennedy. Il 15 ottobre 1962, in pieno periodo di guerra fredda, Kenny O’Donnell si reca come ogni giorno presso la Casa Bianca ma non sarà per lui una giornata normale, in quanto il Presidente Kennedy riceverà la sconcertante notizia dell’installazione da parte delle truppe sovietiche di missili nucleari nello Stato di Cuba.  

Questi missili puntano minacciosamente verso gli Stati Uniti che si sentono accerchiati e in grave pericolo. Kennedy, con l’aiuto del fratello Robert e dell’assistente O’Donnell, deve decidere come agire e quale alternativa scegliere tra un attacco diretto a distruggere i missili nucleari e ad occupare Cuba, Stato satellite dell’Unione Sovietica, o un tentativo di risoluzione diplomatica della questione attraverso un confronto con le più alte cariche sovietiche. 

 

Nell’ottobre 1962, il mondo visse tredici giorni sull’orlo della Terza Guerra Mondiale: l’installazione da parte dell’URSS di missili nucleari a Cuba, portò a un breve ma pericoloso braccio di ferro tra il Presidente degli Stati Uniti J. F. Kennedy e il Segretario del PCUS Kruscev. Ovunque la popolazione attese con ansia l’esito del grave scontro politico, diplomatico e militare”, recita la presentazione del DVD del film, indicando il percorso attraverso il quale si è sviluppata (nello spazio di meno di due settimane) una delle best practices negoziali del periodo della Guerra fredda, quando si era ormai giunti ad un passo dal baratro. 

 

Tredici giorni in cui americani e russi saranno appesi sull’orlo della terza guerra mondiale, l’amministrazione Kennedy vede al fianco del Presidente il fratello Robert (Steven Culp) e il fidato consigliere politico Kenneth O’Donnell (Kevin Costner) che lo sosterranno durante le innumerevoli pressioni che subirà dai militari affinchè si mostrino i muscoli con il nemico. 

 

Il Presidente John Kennedy (Bruce Greenwood) è al governo e una missione di ricognizione sull’isola di Cuba scopre alcuni installamenti missilistici in fase di allestimento, l’informazione giunta nella sala ovale darà il via ad una crisi senza precedenti con l’Unione Sovietica. 

Kennedy riuscirà non senza fatica e qualche momento di profonda crisi a non ricorrere alle armi, grazie ad un escamotage diplomatico dell’ultima ora, riuscendo ad archiviare la crisi e ad evitare un catastrofico conflitto nucleare. 

Dal punto di vista negoziale questo film mostra come in realtà il potere sia molto più complesso di quanto appaia, data la presenza di molti attori diversi, al di là del semplice e principale contrapporsi del blocco americano e di quello sovietico.  

 

I principali attori in gioco sono i seguenti: 

PRESIDENTE 

CONGRESSO  

PENTAGONO 

MARINA 

STAFF CIA 

LA STAMPA  

 

Quali sono i loro obiettivi? Sono tutti diversi ed a volte marcatamente contrastanti  

Esiste in altre parole un forte trade off tra i medesimi:

 

MANTENERE IL PRESTIGIO 

SALVAGUARDARE LA NAZIONE  

EVITARE LA GUERRA 

GARANTIRE LA SICUREZZA 

 

In questo film, troviamo diverse scene sulla negoziazione, in tutte le modalità di rappresentazione possibili: la dimensione “esterna” del negoziato, innanzitutto, che si realizza attraverso i contatti ufficiali ed informali tra americani e sovietici; poi, la dimensione “interna”, che riguarda il confronto tra il Presidente americano ed il suo staff da un lato e i “falchi” dello Stato maggiore della Difesa americano dall’altro (con questi ultimi che chiedono al presidente una risposta “forte”, che passi attraverso la via militare, all’installazione dei missili russi a Cuba) ed anche all’interno dello stesso staff di Kennedy, circa la scelta della migliore strategia da adottare.  

Le scene sono utili per approfondire la scelta di Kennedy di dare, nel corso della crisi, risposte flessibili, che hanno aperto la strada all’accordo definitivo. 

Che alternativa seguire? Le alternative alle mosse sovietiche di installazioni missili a Cuba sono le più diverse  

 

IGNORARE IL FATTO 

FARE PRESSIONI DIPLOMATICHE 

ATTACCO NAVALE 

ATTACCO AEREO - E quale tipologia di attacco? Uno rapido prima che i missili siano operativi, o uno lento ? 

INVASIONE 

BLOCCO 

 

Ma per evitare la guerra nucleare occorre far affidamento all’indebolirsi della posizione dell’avversario, ed ovviamente non abbiamo informazioni dirette sulle sue reazioni o opinioni. 

 

Seguire i falchi o seguire le colombe: cosa dovrebbe decidere Kennedy? 

 

L’iniziale non prendere decisioni di Kennedy è visto da alcuni come debolezza; è infatti vittima di una forte Moral SUASION da parte dei cosiddetti falchi militari perché JFK agisca con violenza. 

In una delle scene più interessanti, i vertici militari arrivano a dire a JFK arrivano a dirgli: LEI è IN UN BRUTTO GUAIO PERCHE LA SUA VITA POLITICA POTREBBE DECADERE da un momento all’altro. JFK risponderà dicendo che in un brutto guaio, volenti o nolenti, ci sono tutti assieme.  

Lo stato maggiore alimenta contro la volontà del presidente uno stato di tensione dannoso e pericoloso, ma non puo’ esautorare  lo Stato Maggiore o la minaccia a Cuba sembrerà internamente un bluff e un colpo di stato. 

 

Confiderà infatti al suo assistente: NONOSTANTE LA LORO SUSCETTIBILITA ALLA FINE I MILITARI TROVERANNO SEMPRE ME.

 

Il ruolo della STAMPA e di quali informazioni far trapelare è oltremodo interessante: NON SI PARLA CON LE PERSONE CHE RENDONO LA SITUAZIONE INCANDESCENTE, SONO STRONZI CHE POSSONO RESTARE TAGLIATI FUORI DAI GIOCHI.  

 

Krushev deve scegliere tra ritirarsi e resistere e sta a Kennedy cercare di prevedere la mossa dell’avversario. 

 

IL RUOLO DELLE COLOMBE è quello più vicino alla posizione del presidente,  

Le risposte di Kennedy in realtà non sono tanto frutto di una chiara decisione iniziale, bensì conseguenza di una progressione di scelte caute (e sempre concordate all’interno di un gruppo ristretto di suoi “fedelissimi”, in cui ritroviamo il fratello, Bob Kennedy, e Kenny O’Donnell, interpretato come dicevamo da Kevin Costner, Assistente del Presidente), che si inseriscono in un equilibrio molto delicato, che oscillano tra il tentativo di adottare risposte assertive e la necessità di non fare scelte ultimative. 

In altri termini; se la risposta americana fosse troppo debole, verrebbe percepita come debolezza e c’è il rischio di uscirne schiacciati; ma se fosse troppo dura porterebbe i sovietici a divenire ancora più risoluti 

Inoltre, se gli stati uniti minacciassero prima un attacco e facessero poi un tentativo di dialogo – riappacificazione, se questo non fosse accettato, ci sarebbe il reale rischio che i sovietici attacchino per primi. 

Interessante notare come lui non si esprime se non con i suoi fidati consiglieri, ma monitori la situazione costantemente, senza esternare troppo.  

Le forze armate in realtà vogliono riscattarsi per la baia dei porci e lo RICATTANO – lo stato maggiore costringe all’attacco.  

 

Aiuto degli alleati dell’organizzazione americana per approvare la quarantena.

 

Importante nel film è la scena in cui si fa riferimento alla lettura fatta da Kennedy del libro LE ARMI DI AGOSTO. E’ un chiaro ricordo della Grande Guerra, dove entrambi gli eserciti pensavano di essere perfettamente equilibrati e di conoscere le armi dell’avversario, sulla base di tecnologia del passato e informazioni del passato; questo si rivelo’ invece una grande tragedia per entrambe le fazioni.  

 

La seconda frase che risuona è questa: LA GUERRA E UNA CONTESA MORALE CHE VIENE VINTA NEL TEMPO PRIMA DI ESSRE COMBATTUTA – di SUN TZU. 

 

 

In questo senso “brillano” (tra le altre) alcune scene, significative dell’approccio di Kennedy: quella del blocco navale, in cui il Segretario della Difesa americano Robert Mc Namara spiega che l’incontro tra le navi americane e quelle sovietiche al largo di Cuba non può seguire le normali procedure di ingaggio adottate dalla Marina militare (che avrebbe portato, in caso negativo, ad un attacco, con conseguenti pericolose ripercussioni a livello mondiale), ma deve piuttosto essere “interpretato” come un dialogo diretto tra il Presidente americano e il Segretario del PCUS; in tal senso è UNA NUOVA FORMA DI COMUNICAZIONE CON IL NEMICO.

 

Altra scena chiave è quella del confronto all’interno delle Nazioni Unite tra l’ambasciatore sovietico Valerian Zorin e quello americano Adlai Stevenson, in cui quest’ultimo risponde punto per punto alle accuse del collega, portando prove circa l’installazione dei missili sovietici a Cuba (qualcuno ha richiamato alla mente questo episodio a proposito del famoso discorso del Segretario di Stato USA Colin Powell del febbraio 2003 al Consiglio di Sicurezza ONU).  

 

Infine, l’incontro decisivo tra l’ambasciatore sovietico negli USA, Anatoly Dobrinin e Robert Kennedy, una scena dal clima molto teso ed allo stesso tempo disperato, nella quale i rischi di una rottura, a questo punto con ogni probabilità definitiva, si “mescolano” alle speranze di accordo. Ed è proprio in questa scena che emerge l’idea che porterà alla soluzione della crisi.

 

Il film termina con la scena che riportiamo, in cui si sentono le parole originali del Presidente Kennedy, che, a mio avviso, rappresentano la degna conclusione ad una vicenda tra le più drammatiche della storia dell’umanità:

 

“Che tipo di pace cerchiamo? Sto parlando di una pace vera.

Il tipo di pace che rende la vita sulla terra degna di essere vissuta.
Non solamente la pace nel nostro tempo, ma la pace in tutti i tempi.
I nostri problemi vengono creati dall’uomo, perciò possono essere risolti dall’uomo.
Perchè in ultima analisi, il legame fondamentale che unisce tutti noi è che abitiamo tutti su questo piccolo pianeta.
Respiriamo la stessa aria. Abbiamo tutti a cuore il futuro dei nostri figli.

E siamo tutti solo di passaggio”. 

 

1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 Rating 0.00 (0 Votes)

 

 

 

 

 

 

Regista: Breck Eisner

Produzione: Stati Uniti d’America

Anno: 2010

Attori: Timothy Olyphant, Radha Mitchell, Joe Anderson, Danielle Panabaker, Christie Lynn Smith, Brett Rickaby, Preston Baileys

 

 

Il nostro giudizio: DISCRETO/BUONO

Recensione: Massimo Giachino

 

 

 

Un virus sfugge di mano e si diffonde in una piccola cittadina. Un incubo ad occhi aperti che pare inarrestabile.

 

TRAMA

David Dutton è lo sceriffo di una piccola cittadina americana di campagna, chiamata Ogden Marsh. Sua moglie Judy è medico e aspetta un bambino.

Gli abitanti della cittadina sono persone semplici e rispettose della legge, che David fa rispettare con solerzia, aiutato dal fido braccio destro Russell.

Ma in breve le cose iniziano a cambiare. Alcune persone sembrano essere soggette a raptus di follia, seminando panico e morte per la città.

Quelli che sembrano sporadici attacchi di violenza trovano presto una spiegazione: un aereo che trasportava un misterioso virus da laboratorio denominato “Trixie” è precipitato nel fiume che rifornisce il sistema idrico della città, propagandosi e infettando gli abitanti.

Ben presto la città è assediata dagli infetti ed in preda al caos, ed il governo invia squadre militari per impedire l’accesso o la fuga alla città, “selezionando” in appositi campi allestiti i sani dai malati, considerati quest’ultimi irrecuperabili.

Come prevedibile, ben presto anche questo sistema collasserà, lasciando la città allo sbando e senza via di uscita.

David e Judy, insieme a Russell e Becca (collega di Judy), riusciranno tra mille difficoltà a sopravvivere e scampare ai pericoli della città, cercando di guadagnare la libertà fuggendo fuori città.

Ma tutte le vie sono sbarrate e, soprattutto, vengono a scoprire un’orrenda verità. La divisione tra sani ed infetti è solo di facciata, tutti vengono sterminati per evitare il diffondersi della piaga, e come se non bastasse, è predisposto un piano per distruggere la città e cancellare definitivamente ogni traccia.

Purtroppo, durante la loro fuga Russell e Becca periranno, il primo per aver contratto il virus mentre Becca verrà uccisa in un agguato, mentre David e Judy riusciranno a fuggire a bordo di un camion, anche se verranno investiti dalla bomba d’urto causata dall’esplosione nucleare innescata per polverizzare la città.

Ma sarà veramente la fine dell’incubo?

 

 

 

RECENSIONE/CONSIDERAZIONI FINALI

Brek Eisner dirige questo nuovo adattamento della pellicola firmata dal maestro dell’horror George A. Romero del 1973.

I remake sono da sempre terreno particolarmente rischioso, in quanto si rischia di compromettere un’opera molto amata del passato o traviarne comunque il concetto, andando nel migliore dei casi a scontentare i fan dell’opera originale.

In questo caso ci troviamo di fronte ad un buon prodotto, senza necessariamente classificarlo comunque come opera memorabile.

Il concetto di base è quello dell’incondizionata paura di perdere tutto ciò che si è costruito con fatica, dove ogni regola di pacifica convivenza venga spazzata via da un accadimento imprevisto e incontrollabile, come appunto un virus particolarmente contagioso (ricorda qualcosa tutto ciò?!).

Un buon cast di attori principali, che magari non sono nomi di primissimo piano ma comunque funzionali alla causa, ed uno svolgimento dinamico e mai statico sono i punti forti della pellicola, che riesce a rendere quel senso di angoscia e paura imminenti tanto cari ai fil horror.

Alcune scene ad alto tasso gore non sono per tutti i palati ma denotano capacità e brivido nell’azzardo di cui va dato atto.

Vista la particolare truculenza di alcune scene del film originale, Eisner ha ritenuto più opportuno sostituirle con altre più politically correct, senza per questo perdere di efficacia.

La città in fiamme e allo sbando è particolarmente riuscita, gettando lo spettatore nello sconforto e senza punti di riferimento.

Riguardandolo oggi, in tempi di pandemia e Covid-19 risulta particolarmente da brividi il passaggio in cui vengono selezionati i sani e gli infetti semplicemente misurandone la temperatura. Chi presenta una gradazione troppo alta e fuori norma non ha un piacevole futuro che lo aspetta…tutto era già scritto!

Va da sé che l’altra chiave di lettura della pellicola rimane quella di assoluta diffidenza verso qualsiasi organo governativo. Non vengono mai fatti nomi precisi ma “il governo” è quello che fa gli esperimenti segreti, quello che nasconde l’aereo precipitato con il suo terribile contenuto, quello che finge di voler salvare la popolazione per poi annientarla indistintamente…

Quello che resta sono degli uomini che non hanno più certezze, ma possono aggrapparsi solo tenacemente a quello che gli è rimasto di più caro: la famiglia.

 

LA CURIOSITA’

Il film è risultato particolarmente interessante anche al creatore della pellicola originale, ossia George A. Romero, che ci ha tenuto a fare i complimenti al regista.

 

 

1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 Rating 4.00 (1 Vote)

 

 

 

 

127 ORE

Regista: Danny Boyle

Produzione: Stati Uniti d’America, Regno Unito

Anno: 2010

Attori: James Franco, Kate Mara, Amber Tamblyn, Clemence Poésy, Lizzy Caplan, Treat Williams, Kate Burton

 

 

 

 

Il nostro giudizio: DISCRETO

Recensione: Massimo Giachino

 

 

Una drammatica testimonianza di come Aron Ralston sia riuscito a sopravvivere 5 giorni con il braccio incastrato in un canyon, prima di riuscire a liberarsi da una complicata situazione.

 

TRAMA

Aron Ralstom è un giovane ragazzo statunitense di 27 anni, amante del trekking e del biking e ossessionato dal migliorare costantemente le sue performance sportive. Nel 2003, durante un’escursione nello Utah presso il Blue John Canyon, diventerà involontariamente protagonista di un avvenimento che lo segnerà per il resto della vita.

Durante il suo percorso in solitaria incontra due turiste, Kristi e Megan, facendo loro da guida e trascorrendo alcune piacevoli ore in loro compagnia. Ripreso il percorso in solitaria come da sua personale tabella di marcia, Aron scivola accidentalmente in una gola ed un grosso masso finisce per bloccargli il braccio contro la parete rocciosa.

Il dramma è solo all’inizio, visto che il ragazzo ha limitate scorte di cibo ed acqua e, soprattutto, nessuno era a conoscenza di dove fosse diretto.

Dopo i primi attimi di sgomento, Aron cerca di riprendere il suo autocontrollo, valutando la situazione e, soprattutto, le possibili soluzioni per uscirne con quel poco che ha a disposizione.

Tutti i tentativi purtroppo risultano vani e la disperazione inizia a salire. Disidratato, affamato e ormai quasi convinto che la sua vita sia giunta al termine, con la videocamera registra la testimonianza di quanto accaduto, incidendo sulla parete rocciosa il suo nome e le date di nascita e presunta morte.

Allo stremo, Aron prenderà coscienza che vi è un unico modo per salvarsi: con un piccolo coltellino si amputerà la parte terminale del braccio, ormai compromessa, riuscendo ad uscire da quell’inferno e trovando infine soccorso in una famiglia di escursionisti, incontrata per puro caso.

Aron si riprenderà, ma questo non significa che abbandonerà le sue amate escursioni, pur con i limiti imposti dalla sua condizione fisica.

 

RECENSIONE/CONSIDERAZIONI FINALI:

Danny Boyle, visionario e talentuoso cineasta premio Oscar ricordato ai più per “Trainspotting”, “The Milionaire” e “28 giorni dopo”, ci immerge con violenza in un contesto drammatico, ripercorrendo la disavventura personale di Aron Ralstom, raccontata nella sua biografia intitolata appunto 127 ore, ovvero il tempo in cui il protagonista è rimasto intrappolato in quella maledetta gola.

Il film si divide essenzialmente in tre atti: la partenza e la prima parte del viaggio in compagnia, l’incidente e la solitudine, la disperazione come unica ancora di salvezza.

Il prologo risulta necessario a spiegarci chi è Aron, soffermandosi in particolare sul fatto che lui non avverta mai nessuno delle sue destinazioni, fatto che risulterà determinante per il seguito.

La parte centrale è ovviamente quella più intensa, dove per un’ora di pellicola l’ambientazione sarà esclusivamente rappresentata da quella stretta gola in cui è precipitato il ragazzo.

James Franco dà prova delle sue abilità riuscendo a sostenere quasi da solo il peso dell’intero film. Le sfaccettature emozionali che riesce a trasmettere (paura, autocontrollo, disperazione, forza d’animo…) passando da una all’altra con estrema semplicità e credibilità, certificano la raggiunta maturità artistica raggiunta dall’attore californiano, candidato all’Oscar quale attore protagonista (vinto poi da Colin Firth per “Il discorso del re”).

Il regista, per smorzare i toni di estrema solitudine, ha intelligentemente inserito dei frenetici flashback, che hanno il compito di mostrare i sentimenti di Aron durante quelle interminabili ore. Veniamo così a conoscenza di un amore passato finito in malo modo, dei giochi che facevano da bambini lui e la sorella più piccola, attimi di intimità trascorsi con i suoi genitori.

Accavallandosi a questi ricordi, la mente di Aron inizia ad elaborare pensieri e desideri in una sorta di autoprotezione, immaginando di partecipare ad una festa con Kristi e Megan e riconciliare la sua relazione passata.

Presto, a causa della situazione che inizia a intaccare corpo e mente, Aron inizia ad avere allucinazioni che fatica a discernere dalla realtà, compiendo veri e propri viaggi onirici nei meandri nella sua memoria e dei suoi ricordi, a sottolineare la sua progressiva e inesorabile crisi interiore. Probabilmente questo è il punto di non ritorno che instilla in Aron l’ultimo barlume di lucidità, per tentare di uscire una volta per tutte da questa gravosa situazione.

Facendo ricorso a tutto il suo autocontrollo e la sua forza, fisica e mentale, con un piccolo coltellino che era all’interno del suo zaino si recide l’avambraccio, riuscendo a fuggire dall’incubo.

La scena è particolarmente cruenta e sanguinolenta, ma necessaria per far comprendere allo spettatore quanto sia stata dolorosa una scelta simile.

Non è un prodotto esente da difetti (in particolare ho trovato stucchevole la carrellata di marchi pubblicitari in evidenza quando Aron sogna una bibita fresca) ma probabilmente il suo problema principale è il non essere un film per tutti, a causa dell’elevata incisività nel passaggio-cardine che potrebbe turbare chi è facilmente impressionabile.

Di ottimo livello la messa in scena del progressivo e inarrestabile logoramento del protagonista, che arriva addirittura a godere di quei 15 minuti al giorno in cui può scaldarsi grazie ai raggi del sole che penetrano in fondo al canyon.

Un clima prettamente claustrofobico e l’eterna lotta uomo-natura sono i temi portanti di questa pellicola, la quale sottolinea marcatamente a quanto è disposto un uomo per sopravvivere.

Una fotografia pulita e veloce, tanto da ricordare in alcuni passaggi un videoclip, accompagnerà l’avventura/disavventura del giovane Aron, preoccupandosi di inculcarci la buona abitudine di lasciare sempre detto a qualcuno la destinazione dei nostri viaggi…

 

 

LA CURIOSITA’

Per la crudezza di una delle scene finali, tre persone sono svenute ed una è stata colta da un attacco epilettico durante una delle proiezioni al cinema.

 

1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 Rating 3.50 (1 Vote)

 

 

 

 

 

Regista: Tim Burton

Produzione: Stati Uniti d’America

Anno: 1990

Attori: Johnny Depp, Winona Ryder, Dianne Wiest

 

 

 

Il nostro giudizio: Molto buono

Recensione: Massimo Giachino

 

 

 

Una visionaria favola dark senza tempo che, in pieno stile “Burtoniano”, mette in primo piano i sentimenti di un “diverso”, contrapponendoli al falso perbenismo della borghesia contemporanea.

 

TRAMA

Edward è un uomo artificiale che vive in un castello decadente, appena al di fuori di un piccolo borgo residenziale. Il suo creatore non riuscì a terminarlo in quanto morì poco prima di donargli delle vere mani, lasciandolo solo e senza nessuno che possa badare a lui.

L’unica che si accorgerà di lui, quasi casualmente, sarà Peggy, una venditrice Avon, la quale abita con la sua famiglia in quel piccolo borgo dalle casette pastello tutte uguali. Peggy accoglierà Edward nella sua famiglia e sarà l’unica a farlo per occuparsi veramente di lui.

L’arrivo di quello strano ragazzo risveglierà le annoiate famiglie del quartiere, sempre in cerca di qualche pettegolezzo che movimenti le loro vite.

Ma se in principio sarà la novità ad elettrizzare tutti quanti, presto ognuno cercherà di avvicinare Edward per il proprio tornaconto (chi per aprire un negozio di acconciature, chi per svaligiare una casa…), sfruttando le abilità delle sue lame.

Edward si innamorerà presto di Kim, figlia di Peggy. Ma se lei inizialmente sembra spaventata da quel ragazzo così strano, si accorgerà poco per volta anche lei di essere innamorata della sua sincerità e dei suoi modi così gentili.

Ma sarà proprio questo amore impossibile la causa della tragedia che sconvolgerà il quartiere, che troverà un facile alibi nello scaricare tutte le colpe sul “diverso” per tornare alla propria quotidianità, nascondendo pregiudizi e facciate di comodo tipiche della società contemporanea.

 

RECENSIONE/CONSIDERAZIONI FINALI

 

Quando Johnny Depp non era ancora un idolo di fama internazionale e si apprestava ad affacciarsi timidamente ad Hollywood, ebbe la fortuna di incontrare un giovane e visionario regista, iniziando una collaborazione che diede fama e notorietà mondiale ad entrambi.

Edward mani di forbice” sancisce l’inizio di questo fortunato sodalizio, e il film potrebbe tranquillamente essere etichettato come una “favola noir” con una spruzzata di gotico.

Edward è un “diverso”, o meglio un “freak” (come piace definirlo Burton), capace di recitare quasi esclusivamente grazie all’espressività della sua mimica facciale e dei suoi gesti, avvicinandosi addirittura al cinema muto in alcuni passaggi.

Altra figura importante del film è una giovanissima Wynona Ryder che qui interpreta Kim, ovvero la figlia di Peggy, la donna che accoglie Edward in casa sua come un membro di famiglia.

Kim risulterà fondamentale nell’economia della storia a più livelli. Sarà innanzitutto l’unica ad amare Edward per quello che è, accettandolo nella sua imperfezione senza tentare di “normalizzarlo” come faranno invece, ognuno a suo modo, i variopinti abitanti del quartiere.

In secondo luogo saranno loro due a dare vita ad alcuni dei momenti più iconici ed emozionanti della pellicola. Chi ricorda il film non potrà dimenticare l’angelo di ghiaccio scolpito con maestria dalle forbici/mani di Edward sotto la prima neve, oppure l’abbraccio tra i due, condito da poche ma strazianti parole: “Stringimi” / “Non posso…”.

Non passa inoltre inosservata la satira sulla società contemporanea, dove ognuno guarda ai propri interessi sfruttando le capacità (in questo caso) di Edward, per additarlo come colpevole appena incomprensioni ed incidenti prenderanno il sopravvento.

Non sfugge nemmeno il paragone ad un classico della letteratura come Pinocchio, pur con le debite distanze.

L’inventore che dà vita ad Eward gli legge libri, lo accudisce e cerca poco per volta di renderlo più umano, per sopperire alla sua solitudine nel castello.

In sintesi, un racconto senza tempo, una favola dolce/amara che incarna perfettamente lo spirito visionario del suo creatore, le cui ambientazioni più riuscite, quelle del castello, anticiperanno di qualche anno quelle che tutti ricordiamo nel suo maggior capolavoro: Nightmare Before Christmas.

Un cenno al compianto Vincent Price, che spirerà poco dopo l’uscita del film, a causa di una malattia che già da tempo debilitava l’attore.

 

LA CURIOSITA’

Alcuni insistenti voci sostenevano che il ruolo di Edward potesse essere interpretato addirittura da Michael Jackson! Non vi sono prove certe in proposito, l’unica certezza al riguardo è che lo stesso artista volle a tutti i costi acquistare le “mani” originali di Edward, cosa che infatti avvenne.

Alla morte di Michael Jackson questi cimeli vennero venduti all’asta.

 

1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 Rating 3.50 (1 Vote)

 

 


Regista: Edgar Wright

Anno: 2010

Attori: Michael Cera, Mary Elizabeth Winstead, Chris Evans

 

 


Il nostro Giudizio: Molto Buono

Recensione: Alessia Priori

 

Passato inosservato nelle sale del 2010 a causa del più celebre live action di Avatar – L’ultimo dominatore dell’aria, Scott Piligrim vs. the World, a differenza del suo avversario cinematografico, rimane ancora oggi un cult della cultura nerd e geek.

 

La storia di un nerd

D’altronde Scott è il numero uno dei nerd: ventiduenne immaturo che salta di lavoro in lavoro, suona in una band Punk rock sconosciuta, scrocca l’affitto al suo amico gay Wallace e pensa ancora alla sua sensuale ex-ragazza; un bambino troppo cresciuto senza speranze. Tuttavia quando incontra la bellissima e stravagante Ramona Flowers, inizia per lui un percorso di formazione interiore a suon di crash e kaboom. Infatti per poter avere una relazione con Ramona, Scott dovrà sconfiggere i suoi sette malvagi ex, guadagnare il potere dell’amore, ma soprattutto quello del rispetto per se stesso.

 

Dalla pagina alla pellicola

Scott non nasce come protagonista di un film, ma ha le sue origini tra le pagine dell’omonimo fumetto di Bryan Lee O’Malley. Ciò è comunque particolarmente evidente grazie alle scelte del regista Edgar Wright, che ha deciso di creare un vero e proprio fumetto su pellicola, intersecando alle caratteristiche degli albi americani, alcune sfumature della cultura otaku e evidenti richiami ai videogiochi degli anni ‘80 e ‘90. Onomatopee e linee cinetiche accompagnano i movimenti degli attori, sia nei combattimenti, sia nelle scene più quotidiane; suoni iconici del mondo dei videogiochi  si ripetono insieme a segni grafici che riportano anche gli spettatori più giovani o estranei all’ambiente nerd nelle video-ludoteche di quarant’anni fa. Inoltre, come il fumetto, anche il film strizza l’occhio al genere shonen, ossia la categoria di manga indirizzati ad un pubblico giovane e per lo più maschile, ai quali lo stesso O’Malley si è ispirato nella stesura di tutti e sei gli albi.

Un inno alla sottocultura popolare
Questi richiami possono far sembrare assurda la pellicola ad uno spettatore che non ha mai letto un manga, un fumetto o non ha mai giocato ad un videogioco. D’altronde Scott Pilgrim vs. The World è un calderone di citazioni, ma può anche servire come base di partenza per inserirsi nella dimensione nerd. Infatti la pellicola di Edgar Wright viene tutt’ora citata, soprattutto per i giochi di parole e le battute pessime, che però si possono apprezzare solo nella lingua originale. Non si perdono invece in italiano i diversi connubi cinematografici e gli easter egg visivi, che non sono ovviamente presenti nel fumetto. Infatti Wright ha deciso di seguire l’esempio di O’Malley e ha unito nella propria pellicola una commistione di generi e inquadrature; le battaglie si susseguono con un ritmo simile a quello degli intervalli musicali nei musical e il dinamismo di alcune scene viene sottolineato dal trucco cinematografico chiamato “Texas Switch”, svelato all’interno del film stesso nel combattimento con l’ex Lucas Lee.

A distanza di 11 anni, Scott Pilgrim vs. The World rimane un lungometraggio stravagante, accattivane e decisamente fuori dalle righe. Inno alle sub-culture giovanili, Scott dimostra ancora oggi come una semplice storia d’amore possa trasformarsi nella paradossale dimensione nerd in un’avventura emozionante ed esilarante.

 

 

1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 Rating 4.50 (1 Vote)