AMRITA

 

 

 

Autrice: Banana Yoshimoto
Anno: 1997
Ed. Feltrinelli

 


Il nostro Giudizio: Molto Buono

Recensione: Alessia Priori

 

 

Il nettare dei mortali: Amrita.

Può l’immortalità esistere in una creatura fragile e quotidiana, ormai già morta una volta? La domanda appare senza dubbio ossimorica, eppure in Sakumi, protagonista del romanzo Amrita, si trova la risposta.



Tra due dimensioni

Il termine Amrita deriva dal sanscrito, indica il nettare degli dei nella mitologia induista ed ha il significato di “non-morto”, “immortale”. Tuttavia la storia di Banana Yoshimoto inizia proprio da un decesso, quello di Mayu, l’affascinante sorella minore di Sakumi. Modella e attrice, Mayu è stata lentamente consumata dal mondo dello spettacolo e dopo essere cresciuta troppo velocemente, ha avuto paura di salire ancora la montagna della vita. La discesa è stata istantanea e volontaria e ha lasciato in uno stato confusionario una famiglia inusuale per il panorama orientale. Infatti Sakumi vive con sua madre, sua cugina, l’amica di famiglia Junko e il fratellino di “secondo letto” Yoshio. Non è solo la composizione ad uscire dalla tradizione, ma anche i membri stessi. Tant’è vero che fin dalle prime pagine si delinea la profonda sensibilità del ragazzino, la situazione complessa di Junko e la nebbia in cui Sakumi barcolla da anni.

 

L’autrice indaga con gli occhi ingenui della ragazza sia il mondo della quotidianità, in cui i personaggi si muovono abitudinariamente, sia quello che sta “al di là” del concreto: un universo fatto di spiriti, fantasmi, sensazioni represse e memorie da recuperare. Nell’incontro tra queste due dimensioni, Sakumi si perde, muore, rinasce e si ritrova, in un percorso di crescita che si conclude laddove tutto aveva avuto inizio, dimostrando così che nulla cambia, benché tutto si sia trasformato.

Un perfetto equilibrio

Yoshimoto dipinge l’antitesi tra mortalità e immortalità con un lessico semplice che disarma il lettore. L’apparente facilità della lettura inganna infatti chi si approccia alla storia di Sakumi con superficialità: dietro ogni parola e immagine vi è una profonda spiritualità che tocca picchi di filosofia. Perciò un atteggiamento di eccessiva leggerezza può trasformare Amrita in una lettura incomprensibile e a tratti noiosa; eppure con la giusta attenzione si scoprono nella strana vita di Sakumi piccole perle da conservare nella realtà. Sia sufficiente pensare al Check-in della vita che la famiglia si tramanda e che la madre nomina quando Yoshio, a causa della sua eccessiva maturità, sta affrontando un periodo buio della propria vita. Poche e semplici domande che ricorrono poi nelle pagine successive in qualità di stampelle nella camminata verso la propria felicità.

 

Pertanto si può parlare di Amrita non solo come romanzo di narrativa, ma anche come di un bildungsroman, in cui la scrittrice mostra lo sviluppo sia di Sakumi e Yoshio sia di personaggi secondari come Ryuichiro o Saseko. Tutti e quattro vivono in bilico tra il mondo del “qui e ora” e del “al di là”, fuggendo ora da uno, ora dall’altro. Yoshimoto non accenna mai a preferirne uno dei due, ma costruisce con sapienza artistica un perfetto equilibrio, tanto di contenuto, quanto di forma, offrendo così una lezione che non invecchia mai: “in medio stat virtus”, o meglio, “vita”.

 

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