BRUCE SPRINGSTEEN - THE RIVER TOUR
Luogo: Milano, Stadio San Siro
Data: 3 luglio 2016
Il nostro giudizio: ECCELLENTE
Recensione: Enrico C.
Qual è il segreto che rende i concerti di Bruce Springsteen degli eventi unici? Perché tutte le persone che hanno assistito in questi ultimi 40 anni ad una qualsiasi delle tappe del viaggio di quello che, a mio avviso, è senza dubbio il più grande artista rock vivente (forse anche perchè l’unico rimasto…) tornano a casa e raccontano ad amici, fidanzate, genitori che è stata una serata speciale che si porteranno dentro per tanti anni?
Perché anche quelli che non sono fan assoluti del Boss riconoscono che sì, “è di un’altra categoria” rispetto a tutti gli altri contemporanei, non c’è partita…“quasi confrontare un giocatore di basket europeo di oggi con Micheal Jordan o un maestro di scacchi locale con Garry Kasparov”…
Non è possibile dare una risposta se non si sceglie di abbandonare stereo, iphone e supporti digitali vari e confrontarsi con l’unica vera dimensione che non bara sulla reale statura di un rocker: il live.
Prendiamo semplicemente una data del “The River tour” quella del 3 luglio scorso allo stadio San Siro di Milano, a cui ho avuto la fortuna di essere presente.
60.000 persone che salgono ordinate sulle due linee della metro milanese che conducono allo stadio. Non ci sono simboli, non c’è un dress code. La forza di questa marea umana è la sua trasversalità: il ragazzo che canta con le cuffie già sui vagoni, ed accanto ecco la famiglia con il padre dai capelli brizzolati, la signora che ha chiuso il negozio un’ora prima ed i due figli universitari, vicini alla laurea.
E le persone che vanno al concerto da sole, il bancario quarantenne che esce in giacca dall’ufficio e toglie frettolosamente la cravatta sulla metro, non è uscito per passare una serata insieme con gli amici o la fidanzata, è qui solo per sentire la sua musica, unica protagonista, tutto il resto non gli interessa.
Chiudi un attimo gli occhi ed è una magia: luci basse e gli accordi di “I’m on fire” sembrano davvero avvolgerti mentre guidi solo nella notte come nel celebre video degli anni ’80.
O l’energia che trasuda “Working on the highway”; la signora del negozio ha già lasciato marito e figli e balla da sola, come una ragazzina, contro le transenne del secondo anello.
Chi avrebbe il coraggio di proporre al giorno d’oggi uno spettacolo di quasi quattro ore incentrato non su un nuovo album ma su un disco del 1980? Di cui esegue ben 14 brani scanditi, sillaba per sillaba, da tutto lo stadio, quasi fossero poesie imparate alle superiori? “The river” è il primo splendido lavoro della maturità di Springsteen (scritto a 31 anni), un affresco della società americana del tempo, come sempre rappresentato attraverso la grandissima capacità di storyteller di vite ed esistenze comuni che è il filo conduttore dell’intera carriera del rocker del New Jersey. Far rivivere un album come questo è esattamente come aprire un libro di Steinbeck o Kerouac.
Quando il buio è assoluto e partono le prime note di pianoforte di “Point Blank” si sente una voce sussurrare delle file più alte delle gradinate “il testo di questa fa veramente piangere…”
Sì, come potrebbe non far piangere la storia di una ragazza che sta morendo per una pallottola piantata fra gli occhi, vittima della solita America dalle armi facili, brutale ed assassina?
Quattro ore senza un minimo intervallo, ma nessuno accusa segni di stanchezza, anzi. Nessuno si distrae coi social o con il telefonino, nessuno chiacchiera; per una serata almeno la vita quotidiana di tutti può rimanere fuori.
La forza e l’energia regna ancora in quei vecchi maestri jedi della E-Street Band; della band originale di 36 anni fa mancano solo i compianti Danny Federici e, soprattutto, Clarence Clemons a cui sono dedicate immagini del passato nella chiusura dello show.
C’è ancora la voglia di far salire alcune rappresentanti del gentil sesso a ballare sulle note roboanti di “Dancing in the dark” ed oggi, ovviamente, non sono solo le ragazze a farlo.
Scemando lentamente fuori dai cancelli c’è la sensazione diffusa di essere stati parte, anche solo per una sera, di qualcosa che sarà raccontato.