VASCO - MODENA PARK

 

Luogo: Modena Park

Data: 1 luglio 2017

 

 

 

Recensione: Erika K. Biondi

 

“Ognuno ha il pubblico che si merita, la parola fan è riduttiva del nostro rapporto: Con loro ho un rapporto di affinità elettive iniziato nel 1977, noi siamo quelli che vivono di illusioni perché la realtà  spesso è dura. Io racconto quello che sento direttamente, loro si ritrovano nelle mie parole perché le hanno già dentro di loro. Sono la voce di chi non ha voce”.

Questa frase riassume la domanda che ha fatto breccia nei miei pensieri guardando il concerto evento di Vasco, dopo una giornata tartassata dai post sui social, con foto di dubbio gusto pubblicate dai sostenitori;  media che hanno frantumato, tra aggiornamenti sulla viabilità in zona Modena, interviste preconfezionate, contestualizzate da individui semisvestiti e dal livello di adrenalina in corpo tale da far impallidire la corazzata Potemkin. Cosa unisce in maniera così viscerale i fan e il cantante di Zocca? Dove sta l'incipit di tutto e dove riposa il Sacro Graal della canzone italiana? La chiave di lettura è in quell'affermazione.

Non sono una simpatizzante di Vasco anche se sono cresciuta a pane e “Albachiara”: mi considero parte di quella massa eterogenea che spesso si trova a cozzare con la comunicazione medianica  (in generale amo poco la musica italiana e sono simpatizzante a pelle del “buon” Ligabue, l'antitesi per eccellenza ) e a parte qualche brano che ha, sicuramente, fatto la storia della musica, non lo sento emozionalmente sulle mie corde; questo non mi autorizza a denigrare un personaggio, né tantomeno a trovare forzatamente punti di scontro improbabili al solo fine di scatenare una “rissa” virtualizzata come spesso accade nel calcio tra fazioni diverse, con l'unico risultato, ottuso, di creare una spaccatura inarrestabile e l'ira incontrollata di animi talmente suscettibili ed ebeti da farne una questione personale capace di scandagliare una discesa agli inferi con annessa e connessa Armageddon dei mezzi di massa. Tutto ciò non mi distoglie dal razionalizzare un evento che stupisce per le sue proporzioni colossali e per la maestosa capacità del personaggio in essere che ha dato vita a un fenomeno senza precedenti. Vasco è riuscito dove nemmeno la politica ha avuto successo; dove, nonostante la proclamazione del Regno d'Italia (nel lontano 1861) non ci siamo mai sentiti un paese unito né allora, né tantomeno oggi; e dove, forse solo i mondiali di calcio hanno qualche possibilità in merito. Sabato 1 luglio la quasi totalità della nazione si è mobilitata o fermata per qualche istante a guardare cosa stava succedendo al Modena Park, anche i “sacrilegi”,  come nel mio caso si sono soffermati per comprendere dove finisce la realtà e inizia il sogno per milioni di individui uniti da un unico denominatore comune.

Che i miei gusti musicali vadano per i fatti loro e siano una sorta di mina vagante non mi rendono padrona di provocare o boicottare chi non la pensa come me, o ancora gridare alla “blasfemia” in maniera puramente irrazionale e non ammettere un buon lavoro quando ne vedo uno; la musica, come lo sport dovrebbero unire, invece spesso danno libero sfogo all'ignoranza e all' ”imbecillitudine” tipica del popolo italiano medio che pensa che la cultura sia carta straccia e che la “crocifissione pubblica” fatta dietro un social siano sacre scritture del web senza comprendere che stiamo parlando di GUSTO. Se a te piace Vasco e a me no è un problema mio; se mi piace il giallo e a te il blu non sei autorizzato ad appellarti al cattivo gusto della mediocrità, perché il problema, di fondo, non esiste. In questo caso, nello specifico, parlano i numeri: 220.000 elementi che da tutta Italia si sono spostati affrontando il caldo torrido, il caos delle strade e la lunga attesa per potersi arrogare un posto di tutto rispetto e poter dire “io c'ero”, “io ho gioito, sofferto, goduto, vibrato, condiviso con Vasco le trepidazioni e i turbamenti della vita di tutti”, “io sono stato parte di questa grande festa di compleanno e di questo disegno emozionale e commozionale che ha travolto le masse anche indirettamente” perché il brivido si è schiantato come un'onda anomala e durante il deflusso ha lasciato dietro di sé un mare di adrenalina.

In molti cinema l'evento è stato proiettato al prezzo di un biglietto d'entrata a una visione standard, in numerose piazze i maxi-schermi hanno incatenato le masse, la RAI si è accaparrata la messa in onda con annesso commento in diretta di Bonolis, che secondo me è stato odiato da molti, non tanto per l'improbabile camicia “gigiona” ma per le sue riflessioni ravvicinate che hanno frantumato non poco la visione televisiva dell'evento.

Ho assistito a un concerto che era il filo diretto tra cantante e pubblico, in un'osmosi di sensi tale da catalizzare anche una scettica come me. 40 anni di carriera di cui i primi 20 massacrato dai media, ma che nonostante tutto, hanno fatto storia trascinando in questo tango ben due generazioni di fan. Non parliamo del personaggio di spettacolo irraggiungibile, bello e dannato, quasi un'epifania, ma di un essere umano come tanti, che si presenta nella sua semplicità, con la inconfutabile “emilianità” fatta di frasi genuine, intercalare buffo anche quando il concetto è profondo; dell'esperienza di una vita, la sua vita, che però, per traslitterazione diventa la realtà di tutti. Look improbabile, con giubbetti in pelle da rockettaro in pensione, per non parlare dello spolverino smanicato lungo alle caviglie che donava come può donare un sacco nero alla pattumiera di casa, borchiette e zip a profusione, bandanine usate come cintura...però Vasco non è solo, né principalmente questo: è il cantante semplice che racconta i dolori e le fatiche di una quotidianità di sofferenza, dolore e sudore e che, non si sa per quale strana alchimia, diventa l'amico di bevute che ti parla e ha sempre la cosa giusta da dire per scuoterti; è la voce della normalità che parla dell'essere liberi, del  bisogno di felicità che cova dentro ognuno di noi, della voglia di una vita fatta di “bambini e vicini” come fosse una favola, la favola di tutti e per tutti.

Abbiamo assistito all'epifania della musica che oltrepassa l'era dell'estraniazione digitale e la paura di possibili attentati terroristici, perché ancora, le passioni pagano e Vasco ha mandato tra le note un messaggio di speranza che ha superato l'etere. Mi sono sentita coinvolta anche io alla festa “epocale di Modena Park”,  ho canticchiato alle note di “Rewind” mentre la folla in visibilio si scatenava in una sorta di sodalizio dionisiaco,  fatto di reggiseni e seni al vento in un mare di “carne” sudata che si infrangeva come un mare in tempesta con le mani al vento. Apocalittiche le riprese dall'alto, la chiusura di rito con la benedizione di “Albachiara” e lo spettacolo pirotecnico degno di un grande show: uno spettacolo nello spettacolo in cui la comunanza la fa da padrone e in cui sembra che il mondo resti chiuso fuori demonizzato dalle parole dei testi.

Cosa colpisce di tutto questo? Vasco parla la lingua di tutti senza parafrasare e senza avvalersi di concetti machiavellici, offre una visione della vita alla mercé del volgo in un populismo che appartiene a tutti e che viene interiorizzato e assimilato: dà voce, appunto, a chi voce non ha.

Questa mia filippica e il mio apparente proselitismo non mi hanno trasformata in fan del Blasco nonostante la performance da numeri irraggiungibili: lo considero ancora il cantante “smandrappato” della mia infanzia che dopo un pò mi viene a noia.

Rendo onore alla performance e alla medianicità della cosa (Bonolis a parte) perché il primo luglio 2017 abbiamo assistito a un'Italia unita sotto il vessillo di Vasco Rossi, grande imperatore per una notte: gliene rendo  tutto il merito, come è giusto che sia, però da oggi si ricomincia la vita di tutti i giorni e la favola è finita fino alla prossima volta: si torna alla “vita spericolata”, ognuno “perso dentro il suo facebook” purtroppo.

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