Artista: Muzz

Anno: 2020

Casa Discografica: Matador Records

 

 

Il nostro giudizio: BUONO

Recensione: Francesco Izzo

 

Si chiama Muzz il nuovo progetto artistico di Paul Banks, frontman degli Interpol, del poli-strumentista Josh Kaufman e del batterista Matt Barrick. Lo scorso 5 giugno di questo anno “terribile”, non dal punto di vista artistico/musicale/produttivo per fortuna, è stato lanciato il loro disco d’esordio.

L’idea di fondo che si percepisce da un primo ascolto, è quella di accantonare la dark wave, il post punk e tutto ciò che possa collegarli ai progetti già noti dei tre componenti della band, mettendo in primo piano un sound originale caratterizzato dall’eleganza di Banks, il talento di Kaufman, che si trasferisce da uno strumento all’altro con semplicità ed eleganza per tutta la durata del disco, e la sezione ritmica di Barrick.

La prima traccia “Bad Feeling” è il manifesto di questo disco: la voce di Paul Banks si adatta a “nuove” sonorità diventando più intima e soft, differentemente da quella ascoltata nei lavori della sua band d’origine. Altro elemento che emerge prepotentemente da subito è la sezione di fiati grazie alla pregevole collaborazione con i Westerlies, un quartetto d’ottoni che accompagna le atmosfere malinconiche e quasi tutte le parti strumentali.

Sono principalmente questi gli elementi di base che ci trascinano piacevolmente per tutto l’ascolto del disco, che risulta essere un prodotto ben concepito, con un’identità ben precisa e con uno stile alquanto originale. Immancabili sono le ballads romantiche come “Evergreen” e “Patchouli”, pezzi dal sapore dream in stile Beach House, con tanti synth e psichedelia sognante; con “Everything Like It Used To Be” scopriamo un ibrido di soft folk con impostazione classica, mentre con “Knuckleduster”, un carattere decisamente più rockeggiante rispetto all’andatura standard di tutto il disco. Altro elemento caratterizzante sono gli echi tipici dello shoegaze che troviamo con “Chubby Checker”.

Si percepisce fortemente la volontà di rifarsi a modelli standard degli anni ’80. Un tentativo già messo in atto da Paul Banks con gli Interpol, ispirati principalmente da Cure, New Order e soprattutto Joy Division, grazie ai quali ci hanno fatto capire che quelle sonorità non sono mai morte del tutto e non devono essere mai dimenticate. Anche i Muzz, come del resto ogni progetto artistico, ci ricordano qualcosa di già esistito, il che non è di certo un male, anzi. Le sfumature di questo primo lavoro, ricercato soprattutto dal punto di vista strumentale e in quantità minore da quello compositivo-strutturale, ci mostrano comunque un nuovo lato di musicisti di fama internazionale, che riescono a distaccarsi dai loro progetti “principali” senza cancellare del tutto la loro vena naturale artistica e miscelandosi tra loro con una dose giusta, semplice e senza eclatanti eccessi: Il concetto del “Less is more” vince sempre. Un disco equilibrato, morbido, melodico, che non può far altro che aumentare la curiosità di sentirli e ascoltarli live, sperando di farlo il prima possibile.

 

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