Artista: Arthur Buck

Anno: 2018

Casa Discografica: New West

 

 

 

Il nostro giudizio: MOLTO BUONO

Recensione: Enrico C.

 

 

Che Peter Buck sia un uomo assolutamente incapace di star fermo e godersi una meritata “pensione” dopo lo scioglimento dei R.E.M. nel 2011 è una cosa abbastanza notoria.

La sua innata irrequietezza, sapientemente miscelata con una notevole curiosità verso tutte le nuove tendenze e sfumature del mondo della musica “alternativa” americana, ha fatto scaturire decine di progetti in cui ha impegnato le sue energie e la sua notorietà conquistata in oltre tre decenni di dischi e tour con la band di Athens.

Dall’organizzazione del festival musicale di Todos Santos in Messico fino alla partecipazione a vari “supergruppi” come “The Baseball Project”, “The Minus 5”, “Robyn Hitchcock & The Venus 3”, “Tired Pony”, “Filthy Friends” il buon Peter non si è fatto mancare praticamente nulla, inclusi due album da solista (pubblicati, nel pieno stile del personaggio, solo in vinile). In questo contesto di grande vivacità creativa non va ovviamente tralasciata la grande attività di scouting come produttore di nuovi talenti all’interno del variegato panorama della musica indipendente made in USA.

Il lavoro di Buck che recensiamo in questa sede è, tuttavia, abbastanza anomalo: un album, in collaborazione con l’amico e collega cantautore Joseph Arthur, a cui è stato dato , in chiave minimalistica, semplicemente il titolo “Arthur Buck”: un modo per indicare allo stesso tempo il disco ma anche il nome che si è attribuito, forse con scarsa originalità, l’eterogeneo duo.

Si tratta di un’opera abbastanza particolare e non nel solco dei lavori precedenti di Buck: la mano e lo stile compositivo dell’ex chitarrista dei R.E.M. sono infatti molto meno riconoscibili rispetto alle esperienze – ad esempio – con “The Baseball Project” o i “Filthy Friends”.

In poche parole , pochi giri di accordi “Jingle-Jangle” e un uso ridotto della famosa “12 corde” che hanno reso celebri le performance di Buck, per far posto, invece, alla ruvidezza sonora e alle atmosfere notturne di Joseph Arthur, sapientemente costruiti sui riff di chitarra e sull’uso della batteria elettronica.

Il sodalizio con tra Arthur e Buck è di antica data: Arthur , “scoperto” da Buck a Seattle nel 2004 apriva già l’anno dopo molte date del tour americano dei R.E.M. (quello di “Around the Sun” per intenderci); i due sono rimasti in contatto per tanti anni ed il progetto – tenuto a lungo nel cassetto – di un album insieme ha finalmente preso forma.

Molti critici ed addetti ai lavori hanno rimarcato quindi come “la bilancia” delle influenze musicali penda decisamente a favore di Arthur nel disco, relegando Buck, in un certo senso, al ruolo di semplice spalla.

Ma quello che, secondo molti, è il punto di debolezza del lavoro è invece, a mio avviso, il suo grande pregio:

nelle collaborazioni precedenti Buck tendeva sempre, inconsciamente, a far rivivere il sound dei R.E.M; qui, invece, – finalmente – innesta il suo tocco ed il suo stile (che comunque emerge, si pensi all’ ”attacco” di “I am the moment” che ha ricordato a più di un nostalgico il mandolino elettrico di “Losing my religion”) in un lavoro costruito all’80% sulla personalità di Arthur, la sua voce intensa e la sua capacità di essere “one-man show”. L’idea è che Buck sia riuscito a trovare finalmente dopo il pesantissimo “divorzio” dalla voce di Micheal Stipe un cantante-musicista  a cui potersi completamente appoggiare.

Per la prima volta dal fatidico 2011 - anno appunto in cui Buck ha appeso la chitarra dei R.E.M. al chiodo - si ha infatti la netta impressione che questo strano connubio e sodalizio musicale nasca non dalla voglia di divertirsi senza grosse pretese di due artisti che hanno già detto tutto nelle loro carriere, ma da una voglia autentica di rimettersi in gioco. In poche parole, il tutto non nasce da un esperimento di pochi mesi di registrazione, ma da un’idea musicale strutturata.

Ci sono forse dei pezzi meno riusciti e che non aggiungono molto all’opera (se i brani fossero stati 7-8 anziché gli 11 del disco chi francamente avrebbe protestato?).

Ma, oltre alla citata “I am the moment”, “Are you elecrified” (da cui a proposito è tratto un bel video) e “The Wanderer” sono davvero affascinanti.

E come si può non amare la splendida “Forever Falling” (questa sì, in perfetto stile Buck- R.E.M.)?

La mia impressione è che questi due signori non si fermeranno dopo questo primo disco.

Staremo quindi, fiduciosi, a vedere…

 

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