Autore: Giorgio Genetelli
Anno: 2020
Casa editrice: Gabrielle Capelli Editore

 

 


Il nostro Giudizio: Buono

Recensione: Alessia Priori


L’estate è una stagione magica, quasi al di fuori del tempo, soprattutto quando si è ancora bambini. Infatti da giugno, con la chiusura delle scuole, si vivono in un solo respiro tre mesi fusi fra loro per il caldo afoso; con l’immaginazione si sconfiggono le alte temperature e la noia e ogni giorno trascorre all’insegna di una nuova avventura. Tuttavia, proprio come l’estate, anche l’infanzia finisce e il mondo degli adulti inizia a bussare alle porte della fantasia.



Una storia leggera, ma solo all’apparenza...

Merluz Vogn è un indiano, un eroe, un soldato, ma anche un esperto navigatore agonistico; egli è un nome nato dalla mente di un undicenne ticinese, impegnato nel far passare i pomeriggi estivi dai nonni, dove i suoi genitori lo hanno lasciato a trascorrere la calda stagione. Ogni giorno il piccolo paese, ai suoi occhi un mondo, gli offre una nuova esperienza, da condividere con il suo fedele amico Nandel : le gare di barche sul Rii Andell, le partite di pallavolo in Pasquei, le storie del nono con il sigaro sempre acceso e le croste di formaggio mangiate di nascosto, perché la nona di Nandel non vuole. L’autore Giorgio Genetelli narra il tutto con una prosa leggera e nostalgica, resa autentica dalla massiccia presenza del dialetto ticinese, che rischia talvolta di impedire la fluidità chiaramente voluta. Tuttavia, tale leggerezza sintattica permane anche quando si insinuano nelle fantasie del ragazzino le prime schegge di una dura realtà. Non vi è infatti alcuna gravità o drammaticità nell’ammettere l’assenza del padre per lavoro e quella della madre per una malattia non specificata, come non si percepisce tristezza quando il bambino non trova alcuna lettera o quando, tornato a casa in ritardo, scopre che suo padre non ha potuto aspettare per salutarlo; anche l’incalzante alzheimer della nonna e le crude storie del nonno non hanno alcun effetto apparente sul racconto in prima persona del giovane ragazzo. Tuttavia lentamente, la prolungata mancanza dei genitori e l’aumentare dei funerali in paese, iniziano a pesare sulle spalle del piccolo protagonista, che inizia a stancarsi di giocare, perché è l’immaginazione stessa a stancarlo.

La Fine dell’Infanzia

“a ogni moto dell'anima un consenso
esterno, si vestivano di nomi
le cose, il nostro mondo aveva un centro.”

(La fine dell’infanzia, E. Montale, 1925)

Così recita “La Fine dell’Infanzia”, poesia di Montale, che descrive perfettamente il romanzo di Gentinelli. Merluz Vogn aveva un proprio mondo, con un proprio centro, costituito dai giochi, dalle sfide e dalla fantasia. Però, come il nonno gli ha infilato, senza nemmeno chiederglielo, fra le labbra il toscanello che lo ha fatto tossire, così la realtà gli ha tolto il velo della fanciullezza dagli occhi e ha privato le cose di un nome, di un significato. Tant’è vero che nell’ultima parte del breve libro, emerge ad ogni parola riguardante la realtà un marcato nichilismo che denuncia l’assenza di senso nella vita adulta agli occhi di un futuro adolescente; sempre più spesso il protagonista si chiede il significato di alcune parole e sempre più spesso viene messo dinanzi ad un futuro di responsabilità, in cui vorrebbe soltanto mangiare ghiaccioli con il suo amico Nandel. Egli apprende di essere al confine in cui tenerezza e crudeltà ancora si confondono e sogna una fuga, un ultimo viaggio da eroi, in cui affrontare vampiri, montagne, nevi, castelli; una corsa estrema verso l’orizzonte del reale “nell’impeto che sfarfaglia loro i pensieri”. Però la fine dell’estate è inevitabile ed essa si rivela coincidere con la fine dell’infanzia e l’avvento di una cruda esistenza, in cui non esiste più l’eroe Merluz Vogn, ma solo un neo-adolescente, con la mamma chiusa in qualche clinica e una radio che racconta di sparatorie, proprio lì, nel mondo che non è più paese.

 

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