Regista: Mike Flanagan

Produzione: Stati Uniti d’America

Anno: 2017

 

 

 

Il nostro giudizio: DISCRETO

Recensione: Cristina Giammito

 

Gerald e Jessie sono una coppia sposata che decide di trascorrere una notte in una casa sul lago per ripristinare una passione che sembra essersi spenta col passare del tempo. Quando l’uomo, munito di manette, propone alla moglie un gioco erotico lei acconsente, seppur con una punta di ritrosia trapelante da gesti e parole. Al principio dell’atto amoroso questi avverte un malore e, crollando per terra, muore stroncato da un infarto. Da lì si dà avvio ad una lenta ed angosciante agonia, amplificata dalla luce che gradualmente svanisce dalla stanza ed irrigidisce le emozioni della fresca vedova. Impaurita, la donna si guarda intorno alla ricerca delle chiavi che le ridarebbero la libertà, ma la sfortuna vuole che siano troppo lontane per essere recuperate. Il ticchettio di un orologio immaginario scandisce un tempo che pare dissolto, terribilmente dilaniato dalla potenza di una crescente paura. Il peggio si figura con l’entrata in casa di un cane randagio che, facendo prevalere il suo istinto animalesco, inizia a cibarsi dei resti del povero marito defunto. La pellicola si snoda seguendo il percorso psicologico della moglie affranta che, allibita, non può far altro che starsene immobile sul letto, ammanettata; col pianto fa in modo che la negatività di pensieri ed emozioni si stacchi da lei e le rechi un temporaneo sollievo. È così che la stanza diviene involucro surreale, luogo in cui far scivolare i conflitti addensati all’interno della sua persona. La solitudine di Jessie dà modo alla sua psiche di espandersi e far rinsavire vecchie ferite riportate a galla dal vuoto del silenzio, prima fra tutte l’ambiguo rapporto con il padre; di seguito, riaffiorano grinze insinuatesi nella relazione con il marito, il quale appare, durante il delirio di lei, sotto forma di giudice intransigente.

Inoltre, la pellicola inscena un dialogo frustrante tra la Jessie reale e la sua versione più sicura e giudiziosa, la quale la esorta a reagire tramite l’uso dell’ingegno. Inizia così un viaggio nella sua introspezione che raggiunge alti stadi di turbamento, soggiogati dalla mancanza di cibo e acqua. La notte giunge e la paura acquista connotati concreti che invogliano la mente a perdersi in un sottile gioco di realtà e finzione. Le ombre possono diventare scherzi ottici capaci di rallentare l’avanzare della razionalità, infondendo l’idea che qualcosa di strano stia realmente accadendo… o è tutto frutto di una pesante paranoia?

 

CONSIDERAZIONI FINALI:

 

Sebbene la trama sia intrigante, la suspense ammansisce il ritmo della narrazione arrivando ad atrofizzare la curiosità che si stempera insanabilmente. L’idea di rappresentare il conflitto psico - emotivo della donna, cibato dall’impotenza dettata dalla forzata immobilità, si disperde nella lentezza della vicenda che appare sempre meno credibile oltre che poco coinvolgente. Il film, adattamento cinematografico del romanzo di Stephen King, non aderisce allo spessore dell’opera scritta; al contrario, sminuisce il suo valore e ne demolisce l’attrattiva. Ne deriva una inaspettata delusione, risultato dell’appiattimento progressivo che raggiunge il proprio culmine nella parte finale.

Discutibile non solo a livello contenutistico ma anche in riferimento alle interpretazioni, la pellicola non soddisfa, a mio parere, le aspettative del genere, cadendo quasi immediatamente nel dimenticatoio.

 

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