Autore: Nic Pizzolatto

Attori: Colin Farrell, Rachel McAdams, Taylor Kitsch

Anno: 2015

 

 

 

Il nostro giudizio: OTTIMO

Recensione: Maria Giovanna

 

Dopo essere stati in Louisiana con il serial killer, le sette ed un quadro di grande cinismo che ha fortemente coinvolto lo spettatore, la seconda stagione della serie televisiva True Detective ci presente uno scenario completamente nuovo insieme ad una storia totalmente diversa. La location ci viene fornita dai degradati sobborghi attorno a Los Angeles tramite l’immaginaria cittadina di Vinci, dove regnano miseria e povertà insieme allo sfarzo e alla corruzione. I personaggi vengono descritti fin dall’inizio come dei falliti cronici tormentati dai loro fantasmi del passato: abbiamo padri inadeguati, figli ribelli che si faranno amare e odiare in egual misura.

Troviamo il detective Velcoro, un uomo sfatto e autodistruttivo interpretato da Colin Farrell; la collega Bezzerides donna scontrosa impersonata da Rachel McAdams, per poi finire con il reduce di guerra freddo e tormentato Taylor Kitsch ed il gangster in declino interpretato da un inedito e piacevole Vince Vaughn. Si ritroveranno tutti coinvolti all’interno di un misterioso omicidio di un politico locale Ben Caspere che aveva le mani in pasta praticamente in ogni dove. Inizierà un gioco di potere e di depravazione che esce fuori da ogni logica e linearità, smontandosi in mille direzioni e dando vita ad una matassa inestricabile di false piste e rivelazioni mai definitive realmente.

Risuonano i cinici risvolti di L.A. Confidential di Ellroy facendo anche un occhiolino all’interno degli universi di David Lynch dove non vi è un ordine narrativo predefinito. Il quadro che viene fuori è un affresco che delinea il nero di un mondo, ormai ad una deriva etica e morale, ma capace di proiettare menti travagliate dominate dalla sconfitta ma che, in modo molto flebile, mantengono un barlume di speranza.

I detective diventano i messaggeri e interpreti che alla fine – si prenda il caso di Frank il criminale - non hanno esitato a sporcarsi le mani. Il mondo che ci meritiamo è un mondo terribile, un inferno in terra, in cui giustizia e vendetta hanno la stessa faccia, e in cui le persone sopravvivono, non vivono e questo sembra essere il messaggio che Pizzolatto ha voluto dirci.

La visione di Los Angeles è quella dove il dolore e la disperazione sono ovunque, premono sulle persone fino a quando queste non si spezzano e crollano. L’assassinio di Caspere è quindi solo un catalizzatore per farci capire che la lealtà è fugace insieme alla giustizia.

Un ruolo molto importante viene giocato dalla colonna sonora di T. Bone Burnett e le canzoni di Lera Lynn, disseminate ovunque tra la prima e l’ultima puntata dando, in questo modo il giusto spessore alla stessa narrazione.

Io ho apprezzato la seconda stagione ma non è stato così per una buona parte del pubblico e per la critica che non ha condiviso la scelta di non avere un unico regista pregiudicando una visione unica e compatta della storia. In questo modo sembra che Pizzolatto abbia ristretto il suo pubblico, già di nicchia, anziché allargalo cavalcando l’onda del successo della prima serie. Molti spettatori sono rimasti confusi già dalle prime puntate e non sono riusciti a capire che direzione avrebbe preso la storia, forse anche perché i dialoghi sono diventati ossessivi e con pochissimi monologhi se non per enfatizzare i momenti di tensione e di suspense. Per poter valutare la seconda stagione bisogna quindi archiviare le aspettative e la memoria di quello che è stata la prima perché questo secondo capitolo, benché non sia stato capito, è molto più ambizioso. 

Dal mio punto di vista la serie consente di poter speculare su ciò che appare sullo schermo come ad esempio il finale.  Lo spettatore è portato infatti a pensare dalla chiusura della storia che l’unica soluzione per poter risolverei problemi sia quella di perdersi tra la folla, costruirsi una nuova vita lontano da quel sistema perverso e diabolico che è Vinci.

 

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