Regista: Paolo Sorrentino

Anno: 2021

Attori: Toni Servillo, Teresa Saponangelo

 

 

 

 

Il nostro giudizio: Ottimo

Recensione: Maria Giovanna

 

Ci ritroviamo nella Napoli, anni '80, Fabietto Schisa (Filippo Scotti) vive un'adolescenza spensierata in compagnia dei genitori Saverio (Toni Servillo) e Maria (Teresa Saponangelo) e dei fratelli Marchino e Daniela. La famiglia, come ogni famiglia del Sud, è attorniata da una platea enorme di parenti e amici che sono molto uniti e nutrono un grande affetto reciproco. Come in ogni famiglia non esiste la perfezione e ci si ritrova a dover affrontare diverse problematiche: Patrizia, la sorella di Maria, bella e spregiudicata, viene picchiata dal marito Franco dopo avergli raccontato di un incontro miracoloso con San Gennaro e il munaciello, dietro il quale si sembrerebbe nascondersi la tendenza della donna a prostituirsi; Marchino, un aspirante attore, viene bocciato a un provino con il regista Federico Fellini, perdendo in questo modo la fiducia nelle proprie capacità; Maria scopre il tradimento di Saverio con una collega di lavoro, decide di cacciarlo di casa in seguito a un furibondo litigio.

Sopra tutti questi eventi ve n’è uno che fa passare in secondo piano ogni cosa: il calciatore Diego Armando Maradona viene acquistato dal Napoli.

I coniugi Schisa dopo un riappacificamento acquistano una villetta a Roccaraso dove passare le vacanze insieme alla famiglia. I genitori propongo a Fabietto di andare con loro in montagna per il fine settimana ma il ragazzo rifiuta perché quella domenica ci sarà la partita Napoli-Empoli, dove avrà la possibilità di vedere giocare il suo idolo Maradona. Quel giorno, Saverio e Maria muoiono a causa di una perdita di monossido di carbonio. La disgrazia getterà nello sconforto e nel dolore i fratelli Schisa. In particolare, Fabietto che rimarrà segnato dal fatto che i medici gli impediscono di vedere i corpi dei genitori. Il ragazzo matura la consapevolezza che, se non si fosse trattenuto a Napoli per la partita, probabilmente sarebbe morto anche lui: a salvarlo, come gli dirà lo zio Alfredo durante la tumulazione dei genitori, "è stata la mano di Dio". Inizia per Fabietto un momento di totale disorientamento, senza punti di riferimento cerca, suo malgrado, di superare il lutto e trovare la sua strada.

Il regista Paolo Sorrentino ci regala la sua autobiografia, in alcuni tratti romanzata e differente dalla realtà dei fatti, di quando alla tenera età di 16 anni perse i genitori, incorniciando la storia in una Napoli di altri tempi che si allontana dallo stereotipo dello spirito stesso della città.

Il film riesce a trasmettere tutta la sofferenza, la disperazione e lo smarrimento di Fabietto che si ritrova in una situazione in cui perde improvvisamente tutta la stabilità e la ricchezza emotiva che la su famiglia gli assicurava e si ritrova a dover convivere con la solitudine. Una solitudine nata, purtroppo, da delle scelte che deve subire, che non sono state fatte da lui e la morte dei genitori rappresenta un momento scioccante e di completa rottura di un equilibrio perfetto ma, allo stesso tempo, rappresenta un inizio, seppur amaro. Piuttosto che lasciarsi andare, dare vita ad un percorso discendente, il protagonista inizia la sua crescita, scoperta e realizzazione.

Troviamo sempre dei personaggi un po' sopra le righe, Sorrentino in questo è sempre molto Felliniano, ma anche persone “normali”, “ordinarie” che ci fanno capire che il regista ha voglia di dire cose nuove. Questo lo capiamo anche nei cambiamenti fatti a livello di squadra di lavoro; infatti, non troviamo il suo storico partner Luca Bigazzi alla fotografia ma la talentuosa cognata del regista Daria D’Antonio; trovano anche delle nuove persone nelle vesti di scenografo, costumista e produttore. Per capire questo cambio di staff possiamo usare le stesse parole di Sorrentino rilasciate a La Repubblica: “Lavorare sempre con le stesse persone è una cosa meravigliosa perché si crea una grande famiglia, una grande intesa però si entra anche in una dimensione di routine; stanchezza reciproca… nessuno sorprende più l’altro e volevo ritrovare un po’ di adrenalina. Ho cambiato anche (…) e soprattutto lo stile”.

Con questa disposizione d’animo, il cinema viene rappresentato come una salvezza e non come un’esigenza soprattutto nel momento in cui Fabietto ha bisogno di raccontare e raccontarsi. La scena con il regista Capuano che aiuta il ragazzo a cercare la sua identità è la parte più potente del film e che ci fa capire quali siano le origini di Paolo Sorrentino come regista che, come Fabietto, ha trovato la strada per non disunirsi. 

La pellicola è un mix tra commedia e tragedia, ci ritroveremo ad alternare momenti di risate a momenti di grande intensità; il film racconta i legami e la vita familiari, l’identità personale e l’elaborazione del lutto ma ci regala anche la narrazione dell’anima della vera Napoli.

È il film più intimo, affascinante ed essenziale di Sorrentino; un racconto maturo e commovente che viene valorizzato magistralmente da un cast umanamente vincente.

 

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