Regista: Galder Gaztelu-Urrutia

Produzione: Spagna

Anno: 2019

Attori: Ivan Massegue, Emilio Buale

 

 

Il nostro giudizio: OTTIMO

Recensione: Nya

 

Spesso mi capita di parafrasare una famosa canzone di Adriano Celentano: “C’è sempre un motivo”. E lo faccio anche stavolta, perché non credo sia casuale il fatto che l’uscita di questo film coincida col periodo storico che stiamo vivendo – e che mai ci dimenticheremo – ovvero quello della Pandemia e del Coronavirus.

Ma a queste riflessioni preferisco tornare alla fine della recensione. Parliamo del film. E’ un film il cui successo era già prevedibile dalla data in cui uscì il trailer, il 6 marzo; Trailer che ha superato il milione e mezzo di visualizzazioni in poco tempo. I famosi 92 minuti di applausi di Fantozzi, in questa occasione possiamo farli diventare 94 minuti di applausi, ovvero, la durata di questo film che tiene incollati allo schermo minuto per minuto. La produzione di questo thriller-horror è spagnola, il cui titolo originale è “El hoyo”, diretta da Galder Gaztelu-Urrutia, tradotto poi in “The Platform” e successivamente ne “Il Buco”. Il tutto si svolge all’interno di una prigione verticale su più piani, e in ogni piano si trovano solo due persone. All’interno di questi piani vi è un grosso buco dal quale passa ogni giorno e solo una volta al giorno per 2 minuti una piattaforma stracolma di cibo che parte dal piano 0 fino ad arrivare all’ultimo; cibo che in realtà basterebbe per tutte le persone recluse, ma che non arriva mai alle persone che si trovano dopo un determinato numero di celle (solitamente dalla cella n.50 in poi…) per colpa di chi pensa solo a riempirsi il proprio stomaco. Da qui ci vengono già regalati i primi spunti di riflessione. Ma la cosa che davvero complica tutto è che ogni mese le persone vengono casualmente spostate di cella, con la possibilità di trovarsi all’opposto di dove erano prima. Quindi chi magari prima non mangiava, se ha la possibilità di abbuffarsi ai primi piani, non sta di certo a pensare che chi si troverà di sotto non ha cibo, ma pensa solo – egoisticamente – di aver mangiato poco precedentemente e quindi che si merita l’abbuffata. E per noi che siamo nell’era dell’ All You Can Eat, dovrebbe anche questo essere fonte di riflessione: quanto cibo sprechiamo? Abbiamo davvero bisogno di mangiare così tanto? E chi mentre nel rullo giravano gli ultimi due involtini primavera non ha fatto il furbo prendendoli entrambi e non lasciando nulla agli altri? Il protagonista del film, Goreng (Ivàn Massagué), è un uomo che in autonomia decide di rinchiudersi in questa strana prigione, non curante di come le cose andassero realmente, pur di avere in cambio un attestato di permanenza definitivo (permesso di soggiorno). Divide la cella con un vecchio signore, Trimigasi (Zorion Eguileor), che si trova lì per un crimine commesso involontariamente. Fortunatamente, questa sua avventura comincia ad un livello più o meno accettabile: dal 48esimo livello, dove il cibo comincia a scarseggiare ma comunque ancora arriva. Ogni detenuto può portare con sé solo un oggetto. Un oggetto qualsiasi, ma solo ed esclusivamente uno. Goreng porta con sé il libro di Don Chisciotte della Mancia, anche questa, direi, scelta non casuale visto che Don Chisciotte era colui che lottava contro i mulini a vento per cambiare l’ordine delle cose. Il problema sarà invece il mese successivo, quando si ritroveranno al livello 171. Goreng si risveglia il primo giorno del secondo mese in questo nuovo livello legato al letto dal vecchio che con molta tranquilità gli spiega che a quei livelli si fa fatica a non impazzire e a non morire di fame: O mangi, o vieni mangiato. E il vecchio aveva già deciso che a mangiare sarebbe stato lui, con l’aiuto del suo oggetto: un Miracle Blade super affilato. Goreng riesce a liberarsi grazie all’aiuto di una pazza che usa la piattaforma per salire e scendere alla ricerca di un bambino a quanto pare immaginario, ma liberandosi, si troverà costretto, controvoglia, a far prevalere il suo istinto di sopravvivenza provocando quel cannibalismo che inizialmente era rivolto a lui. Da lì, parte una sorta di senso di rivoluzione. Ma come fare? Salire o scendere con la piattaforma? Dov’è la via d’uscita? In una cella precedente Goreng divide lo spazio con la stessa persona che le fece il colloquio. Anche lei si trova lì per scelta, perché per colpa di un cancro, non ha pià nulla da perdere, infatti a un certo punto si impicca. Avrebbe potuto gettarsi nel vuoto, come facevano in molti, invece lei si impicca, per donare il suo corpo, la sua carne, a Goreng pur di farlo sopravvivere. In una chiacchierata precedente però, la reclutante di detenuti, le aveva confessato che lì non erano ammessi bambini e che quindi la pazza che cercava suo figlio era davvero pazza, e che i livelli in totale erano 250. Cambiando nuovamente cella, al sesto livello, si ritrova con Baharat che con il suo oggetto prezioso, la sua corda, prova a salire ai livelli più alti chiedendo aiuto alle persone del quinto livello che inizialmente sembrano tendere la mano ma che alla fine lo ributteranno di sotto. Da lì, Goreng capisce che l’unico modo per risalire è quello di toccare prima il fondo. Parte un viaggio attraverso la piattaforma, con l’unico scopo di razionare il cibo per tutti, in modo da farlo arrivare fino alla fine. Solo che, arrivati al livello 250, la piattaforma continua a scendere. I livelli non erano 250, ma bensì 333. La cosa più sconcertante di quel livello era però l’aver trovato una bimba distesa sul pavimento e immobile. La bimba sarà subito riconosciuta come unico messaggio da poter inviare “ai superiori”. Viene quindi adagiata sulla piattaforma e fatta risalire, da sola. Questa scena è molto toccante: si vede appunto la piattaforma che sale e una luce su di essa che ne guida l’ascesa, come se si andasse incontro a Dio. Il messaggio qui è chiaro e forte: si fa risalire solo la bambina perché i bambini sono l’unica speranza per il futuro, con la loro innocenza e purezza. I grandi sono troppo presi dalle loro cose: chi sta bene pensa a come rimanere nel proprio agio e chi sta male pensa solo a sopravvivere. Questo film ci insegna tante cose: ci insegna che davanti al pericolo l’uomo sa diventare egoista e crudele. Ci insegna che la condivisione è importante, ma non quella dei social: la condivisione nella vita vera. Ci insegna che la ruota gira prima o poi per tutti. Ci insegna che ci sono buoni e cattivi, e a volte, questa prigione con i suoi sali e scendi, sembra richiamare un po’ l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso di Dante. Ci insegna che anche solo una persona può fare la differenza e cambiare le cose. E come dicevo inizialmente, non credo sia un caso che questo film sia uscito proprio adesso, in questo periodo storico, dove ci ritroviamo in una guerra a denti stretti con un virus, un nemico invisibile da combattere, e che dobbiamo combattere insieme, pur stando distanti. Non è un caso sia uscito adesso, dove siamo costretti a fare i conti con il tempo che non passa mai, con i pensieri che affollano la testa, con casa nostra che a volte sembra un rifugio ma a volte sembra anche un po’ una prigione. Questo film ha molto da dire, ha molto da insegnare, ma credo che l’essere uscito proprio adesso sia un valore aggiunto, perché in questo momento siamo un po’ più sensibili alla Vita, siamo più consapevoli del valore delle cose e delle persone.

C’è chi dice che il caso non esiste.

Può darsi, ma ciò non toglie che questo sia il periodo migliore per apprezzare un film già apprezzabile di suo.

 

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