Regista: Mario Martone

Produzione: Italia

Anno: 2018      

Attori: Marianna Fontana, R. Scholten von Aschat, Antonio Folletto …

 

 

Il nostro giudizio: discreto / buono

Recensione Gennaio 2019: Geppetto

 

 

Mario Martone con Capri revolution conclude una trilogia di opere cinematografiche ambientate nel passato. Le precedenti sono state Noi credevamo che parlava delle passioni di giovani carbonari nell’Italia ottocentesca ed Il giovane favoloso sulla vita di Giacomo Leopardi.

Questa volta siamo nel 1913, poco prima dello scoppio della prima guerra mondiale. E siamo nell’isola di Capri, all’epoca punto d’incontro sostanzialmente ospitale di idealisti diversi: dai rivoluzionari russi (siamo qualche anno prima della rivoluzione comunista dell’ottobre) a giovani utopisti che vivono in comunità, sostenitori di un ritorno alla natura: vegetariani, nudisti, pacifisti e propugnatori dell’amore libero.

Il riferimento storico è puntuale. All’epoca a Capri trovò rifugio una comune di giovani borghesi (nel film essi si definiscono “di buona famiglia”) al seguito del pittore tedesco Karl Diefenbach, nel film Seybu.

Il film racconta di una giovane pastora (capre e non pecore) che vive come si poteva vivere allora nell’isola, in estrema povertà, in una famiglia patriarcale dominata dai maschi. Lucia (Marianna Fontana), nei sui percorsi con le capre al seguito, vede quei giovani che vivono una vita completamente diversa dalla sua e ne è prima incuriosita, poi affascinata. Completa il quadro d’insieme un giovane medico condotto (Antonio Folletto), uomo di scienza quindi, socialista ed interventista per la guerra che stava per deflagrare. Strano connubio socialismo ed interventismo: i socialisti erano neutralisti. Ma qualcuno c’era, ed uno purtroppo ha trovato uno spazio rilevante nella storia italiana del secolo scorso. Il medico è il rappresentante di una terza cultura, come detto: non quella patriarcale dell’isola, non la religione della natura della comune, ma scienza, progresso e avanzamento sociale.

Una storia di emancipazione dunque. Lucia, pastora ed analfabeta, se ne va nella comune dei borghesi contestatori, rifiutando il matrimonio combinato, impara a leggere e scrivere, e pure l’inglese (lingua un po’ incongruamente parlata, all’epoca del film, da giovani tedeschi e svizzeri) ed alla fine del suo personale percorso di affrancamento parte per le Americhe. In fondo sembra che a vincere la partita fra le tre culture che si confrontano nella pellicola, sia il medico condotto a spuntarla. E così per altro è andata per la Storia con la esse maiuscola, non solo per questa di storia.

Quello che non ci ha convinto troppo è come Martone ce la racconta.

La comune dell’inizio del secolo scorso sembra una comunità di figli dei fiori. Degli hippies degli anni sessanta, scappati da una società che li voleva mandare a combattere in Vietnam. O dei reduci da Woodstock. C’è pure una scheggia impazzita di componenti che ricorda le sette che proliferarono allora. La guida una specie di Charles Manson, quello che uccise, insieme a delle sue adepte che lo ritenevano una reincarnazione del Cristo, Sharon Tate.

Di Lucia capiamo che è volitiva, ma non molto di più. La Capri che vediamo è più aspra di come la ricordavamo. Una breve ricerca infatti ci dice che gran parte del film è stato girato nel Cilento. Il medico positivista e la famiglia patriarcale di Lucia sono un tantino oleografici e scontati. La scelta di far parlare in campano stretto gli isolani ed in inglese i componenti della comunità, tutto sottotitolato, è un po’ snobistica. Fa pensare ad un film orientato più alla visione nei festival del cinema che al grande pubblico. Ed infatti il film è stato presentato a Venezia per il Leone d’oro. Ha vinto premi minori.

La parte più interessante è quella in cui il medico e Seybu si confrontano sui loro diversi punti di vista: una conversazione che ben rende il dibattito fra visioni utopistiche della natura e fiducia in un progresso umano anch’esso idealizzato.

E questo conferma che Martone è prettamente un regista teatrale. Non per niente è stato direttore artistico al teatro Argentina di Roma e dello Stabile di Torino.  Molto brava la Fontana.

Giudizi di critica on line: 3,5/4 stelle su 5. Sostanzialmente concordiamo.

 

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