Regista: Riccardo Milani

Produzione: Italia

Anno: 2017

Attori: Paola Cortellesi, Antonio Albanese

 

 

Il nostro giudizio: BUONO

Recensione: Erika K.Biondi

 

TRAMA:

Per conto del Parlamento europeo, Giovanni (Antonio Albanese) presiede un think tank che sta conducendo una ricerca sulle periferie italiane a cui verranno concessi fondi per le persone in difficoltà economica, al fine di poter aprire piccole attività imprenditoriali. Agnese, la figlia adolescente, mette al corrente il padre che sta frequentando un coetaneo residente a Bastogi, un quartiere romano disagiato con un grado di esistenza ai limiti del vivibile e in netto contrasto con la realtà del centro benestante di Roma.

La madre del ragazzo, Monica (Paola Cortellesi), dopo un approccio abbastanza turbolento, sceglie l’opzione dell’alleanza tra genitori per porre fine alla relazione tra i due ragazzi. Una serie di dinamiche rocabolesche con una Roma vista e vissuta da punti di vista differenti faranno da retroscena alla vicenda che prenderà un risvolto a dir poco inusuale.

 

RECENSIONE:

 

A un primo approccio il film può apparire come l’ennesimo caso di commedia all’italiana leggera, facilmente fruibile e di basso contenuto culturale come spesso accade nel periodo di Natale con i triti e ritriti cinepattoni ormai al limite della sopportazione umana. Una pellicola che, in verità dietro la facciata ci parla di realtà incompatibili di incomunicabilità e del divario che le classi sociali ergono in maniera inamovibile, un lungometraggio che usa la forma apparentemente rassicurante della commedia per dare una lettura che va ben oltre le apparenze e rappresenta senza tanti preamboli, la tragicomicità della vita. La situazione è paradossale, le dinamiche fanno sorridere anche se con un senso di amarezza che lascia il segno e che apre lo spiraglio alla riflessione.

Monica è estrema, la tipica donna coatta, deve sopravvivere alla realtà che la circonda, una jungla costituita da due sorelle col vizio del furto, un ex marito in prigione per “taglio”, un quartiere intriso di degrado urbanistico e umano, che appare da fuori come un girone infernale dantesco in cui le diverse etnie devono convivere e dove la vera battaglia è crescere un figlio insegnandogli il rispetto e l’onestà e i più deboli non possono soccombere sotto i colpi della società che avanza.

Giovanni deve affrontare il problema del decadimento senza sapere nemmeno di cosa si sta parlando se non per sentito dire, finché non si scontra in maniera tangibile con la quasi irrealtà di Bastogi; fino ad allora non poteva nemeno ipotizzare cosa significa andare al mare a Coccia di Morto, o vivere in un quartiere dove se non fai attenzione ti smontano la macchina, il tuo vicino cucina “curcuma” a tutte le ore e sulle scale la gente dorme sui pianerottoli. L’esistenza delle persone disagiate, comuni, che paradossalmente spesso  sono costrette a farsi giustizia da sole, dove la borghesia viene vista come una minaccia e dove la disillusione regna sovrana pensando inesorabilmente che sia tutto un “magna magna” e dove se arrivi da qualche parte è solo perché sei un raccomandato (“e me ‘so capita io”).

Una storia che nasce, cresce e si evolve con la consapovella che durerà “come un gatto in tangenziale”, ma che rivela la tragicità della vita condita anche, per conto, dalla sua inesorabile dimensione comica, segnando confini ben delineati: il mondo lindo, curato, patinato, fatto di colori chiari e natura di Giovanni di film d’essay che incitano a tagliarsi le vene per gli apocrifi, una dimensione quasi asettica e ovattata, d’altro canto il colore, la nota luccicante, sopra le righe di Monica dove persino la suoneria del campanello di casa è improbabile.

 

CONSIDERAZIONI FINALI:

Il team Cortellesi-Albanese conferma una situazione che era già stata in rodaggio e che oggi approda nelle sale con una pellicola dal duplice aspetto: se guardata con leggerezza diventa un momento di svago e risate, mai troppo sguaiate, ma facili; dall’altro la consapevolezza che l’esistenza è effimera e in salita e che dobbiamo sopravvivere nel girone dei vivi con tutti gli annessi e connessi legati alla piccolezza umana, alle differenze culturali e di classe in cui vengono messi dalla società confini ben deliminati.

Albanese dichiara per primo che non vi è nulla di più efficace dell’ironia per indebolire un malessere o un certo tipo di malaffare: questo avviene. Il popolo del cinema può entrare nelle sale consapevole di andare a vedere un “filmetto” dai contorni “ridanciani” e con un supporto poco impegnativo, ma la verità è altra cosa, perché nonostante tutto può restarci in tasca anche il vago senso di essere parte di un disegno che fa ben poco ridere se non ti impegni e se non ti reinventi aspettando di essere travolto dall’inesorabilità degli eventi.

Film piacevole che lascia un senso di amaro e quasi di impotenza, ma che lancia un messaggio che fa riflettere: consiglio di vederlo.

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