Autore: Madeline Miller

Anno: 2018

Ed: Marsilio

 

 

 

 

Il nostro giudizio: ECCELLENTE

Recensione: Silvia Alonso

 

In principio erano Circe, Eete, Perse e Pasifae, figli del Titano Elios e della Ninfa Perseide. 

Punto di incontro tra i quattro fratelli: la derivazione titanica dei loro poteri.

Punto di frattura con gli dei olimpici: la radice ancestrale e tellurica delle facoltà dei quattro maghi, ben diversa dai poteri innati e spontanei dei pigri dei.

Tutto risale alla guerra tra Titani e dei Olimpici. Lo zio di Circe, il Titano Prometeo, fece dono agli uomini del fuoco, pagando col sacrificio del proprio corpo (il supplizio di venire incatenato a una rupe e di subire la quotidiana divorazione del fegato) l’amore verso il genere umano.

Gli dei olimpici non vogliono la libertà della stirpe mortale: la considerano irrilevante come un pugno di polvere al vento, meglio che subisca le avversità di un destino capriccioso, che più la piegherà al dolore, più la renderà sottomessa al loro volere.

Ma non tutti gli dei sono uguali.

Circe, figlia della ninfa Perseide e di Elios, il Titano assimilabile al Sole, ha un destino da compiere. Come dea, risulta pressoché invisibile, quasi uno scherzo del destino. È tra di loro la meno avvenente, dotata di una  voce umana che al cospetto del suono roboante degli immortali appare stridula, e soprattutto non possiede alcun potere intrinsecamente “plateale”. Laddove i poteri divini sono innati e si compiono senza sforzo.

Circe è invece anomalamente “umana”, perché sente su di se’ il marchio dell’imperfezione che la rende diversa dalla gelida compostezza delle altre divinità. 

In una parabola di discesa agli inferi e di conseguente acquisizione di consapevolezza, dovrà fare fatica a scoprire le sue facoltà. Sperimentando, sporcandosi le mani, subendo la condanna dell’esilio.

Tra gli dei olimpici, infatti, la conoscenza dell’arte dei farmaci è considerata tabù. Non si può forzare ciò che risulta scritto nel Fato e a cui presiedono Le Moire. 

Maneggiare l’arte ambivalente dei “pharmacoi” per sovvertire la distanza insormontabile tra dei e uomini è considerato un atto di tracotanza, e in quanto tale punito.

Ma Circe, la ribelle, opera una scelta. Alla stasi noiosa degli immortali olimpici preferisce l’imperfezione umana. Il dado è tratto il giorno in cui di innamora dell’ingrato Glauco: trasformandolo in immortale sfiderà il divieto posto dagli albori tel tempo: non sfidare le Moire.

Allo stesso modo la sua ira esploderà incontenibile quando si sentirà soverchiare dalla vanità della ninfa Scilla, trasformandola quasi inconsapevolmente in uno dei peggiori mostri del suo tempo. 

Il pentimento, il percorso di espiazione che la farà evolvere nella solitudine esattamente come la più contemporanea delle nostre eroine.

Con  una prosa al contempo lirica, avvolgente ed onirica la Miller compie il più grande dei capolavori contemporanei: tenere il lettore invollato alla pagina come se stesse leggendo il più eterno

dei Fantasy. Più accattivante di Harry Potter. 

 

 

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