Regista: Gianclaudio Cappai
Produzione: Italia
Anno: 2016
Attori: Michele Riondino, Valentina Cervi, Vitaliano Trevisan, Elena Radonicich
Il nostro giudizio: BUONO
Recensione: Enrico C.
In una serata di fine aprile alla Cineteca di Bologna ho conosciuto, presentato da una comune amica, Gianclaudio Cappai, giovane regista sardo, e ho chiacchierato un po’ con lui in attesa della proiezione-presentazione del suo primo lungometraggio “Senza lasciare traccia”.
“Certo, se sei abituato a quella che ormai è nell’opinione comune, la cinematografia italiana di questi ultimi anni, preparati a qualcosa di
molto diverso” mi ha detto, “Quello che vedrai non sembra, in effetti, nemmeno un film italiano.”
E, in effetti, “Senza lasciare traccia” a tutto sembra guardare come riferimenti di genere, fuorchè alla tradizione preponderante di certo cinema italiano degli ultimi decenni che ha fatto ormai della “leggerezza” lo stilema per affrontare temi più o meno seri o di impegno sociale.
I dialoghi scarni, appena abbozzati del film, hanno ricordato ad alcuni critici certo cinema asiatico, in particolare quello coreano; ed ecco facile evocare, dato anche il soggetto e la sceneggiatura del film, il riferimento ad alcune suggestioni dei cosiddetti “film di vendetta” di Park Chan Wook, l’autore di “Old Boy”.
Comunque sia, la vera forza di “Senza lasciare traccia” risiede nell’impatto visivo delle scene e della fotografia in cui emerge come vera protagonista una vecchia fornace dimenticata nelle nebbiose campagne dell’Italia del nord. Una fornace abbandonata che si trasforma da inquietante luogo fisico in un oscuro labirinto della mente, in cui violenze, traumi e dolorosissimi ricordi tenuti segreti da un bambino mai diventato uomo rivivono ogni giorno come mostri.
Il “non detto” prevale sempre nel film ed è il merito più importante dell’opera di Cappai. La trama è del resto costruita sulle ellissi che spesso lasciano aperte tutte le interpretazioni dello spettatore. I personaggi sono soltanto quattro: apprezzabili un singolare Michele Riondino, abbastanza lontano dai suoi ruoli standard e un convincente Vitaliano Trevisan, perfetta incarnazione del personaggio di un burbero allevatore del Nord-Est; meno riuscita è la figura di Elena, la moglie di Bruno, interpretata da Valentina Cervi che non riesce fino in fondo a ritagliarsi la sua individualità ed il suo spessore nella storia.
Ambiguo e per questo interessante è invece il ruolo dell’ultimo personaggio del quartetto, Vera, interpretata da Elena Radonicich, da piccola solo testimone o anche complice delle violenze subite da Bruno?
In ogni caso le immagini, siano esse di corpi – il tema della malattia, “l’intruso”, un fuoco che “brucia da dentro” – piuttosto che di luoghi sono, come detto, i veri padroni del film; sceneggiatura e personaggi sono destinati ad essere solo contorno. Il fatto che Cappai si sia formato artisticamente sui cortometraggi è palese in tutto il film e ne evidenzia, forse, oltre alla forza, anche l’unico limite: la necessità di avere più “materia” in termini di “plot” e situazioni da distribuire in un’opera di 93 minuti.
In ogni caso, un esordio pieno di meriti ed intuizioni, un film assolutamente da vedere.