Regista: Ken Loach

Produzione: Gran Bretagna

Anno: 2019

Attori: Chris Hitchnen, Debbie Honeywood

 

 

 

Il nostro giudizio: BUONO

Recensione: Pierpaolo Marcone

 

 

Sorry we missed you - Spiacenti non l'abbiamo trovata: con questa frase impressa sugli avvisi di consegna i corrieri si scusano coi clienti per il mancato recapito dei pacchi.

Tra questi, Ricky Turner (Chris Hitchnen), ex autista originario di Manchester ora trapiantato a Newcastle, dove vive con la moglie Abby (Debbie Honeywood) e i loro due figli, l'inquieto adolescente Sebastian (Rhys Stone) e la piccola Liza (Katie Proctor).

La coppia si barcamena come può: lei assiste con orari impossibili anziani e disabili; lui, dopo una lunga fila di lavoretti precari, è finalmente riuscito a diventare un lavoratore autonomo: coi soldi ricavati dalla vendita dell'auto della moglie, s'è comprato un furgone e adesso gira convulsamente per la città, quattordici ore al giorno per sei giorni alla settimana, per consegnare scatole di ogni genere.

La gioia di Ricky per un lavoro finalmente stabile e indipendente è tuttavia destinata a durare poco: ben presto scoprirà che quell'agognata autonomia non è affatto tale e che, soprattutto, a causa dei ritmi disumani a cui è sottoposto, la sua famiglia rischia di sfaldarsi.

 

Ken Loach è sempre Ken Loach: cantore della working class, difensore dei deboli, paladino degli umili.

Non si discosta dalla sua poetica questo “Sorry we missed you”, storia di denuncia del mondo pericolosamente benedetto delle consegne a domicilio e degli acquisti on-line. Ma anche riflessione sul rapporto privacy-tecnologia e spaccato eloquente dell'universo freelance, che molto poco ha di free e troppo sa di sfruttamento. Perché, alla fine dei conti, c'è sempre un capo a cui rispondere, che, approfittando della mancanza di tutele di un contratto di lavoro dipendente, si trasforma in despota.

E' così anche per Ricky, sulla carta libero di organizzarsi come vuole, ma, in realtà, costretto a consegnare i pacchi al minuto esatto, sorvegliato dagli smartphone dei clienti e dai computer dell'azienda affiliata. E poco importa se muoia di sonno e di fatica, o se i bisogni debba farli nella bottiglia. Perché, se ci scappa un qualsiasi ritardo, sono multe e risarcimenti a valanga. E a quel punto, il nostro freelancer, non lavorerà più per i due quattrini di sopravvivenza, ma per ripagare i debiti generati dalla spirale in cui è rimasto intrappolato.

E' la legge del mercato, caro ragazzo: tuo è il furgone, tua è l'attività, “noi, però, siamo il franchising”. Detto in parole povere: tu comandi, noi decidiamo.

 

“Sorry we missed you” probabilmente non è il miglior film di Ken Loach, ma è certamente tra i più amari.

Il regista inglese mette in scena la storia di Ricky ricorrendo al suo solito stile sobrio, fatto di dialoghi asciutti, interpreti credibili e assenza di pietismo.

Loach affonda lo sguardo sulle perverse dinamiche lavorative 2.0 mostrando la realtà così com'è, senza addolcimenti o perifrasi. Va dritto al problema, prende posizione e non vi recede nemmeno per un attimo.

E' l'essenza del suo cinema politico che analizza con cura i meccanismi della nuova guerra tra poveri. Ne sottolinea le perversità e le dolorose conseguenze sulle relazioni familiari, su cui veglia la quieta e forte Abby, anche lei lavoratrice sfruttata, ma (al contrario del marito pronto a sfilare il lavoro ai suoi colleghi) ancora capace di solidarietà e rispetto verso i suoi assistiti, umili e deboli come lei.

Quello della donna sembra essere l'unico sprazzo di sincera umanità in un contesto arido e privo di valori che tutto cannibalizza. Quello stesso contesto che provoca la ribellione dell'adolescente Sebastian, il cui nichilismo è alimentato dalla mancanza di orizzonte di senso in un mondo dedito esclusivamente al consumo di cose e persone. Loach non si limita a descriverlo come il solito ragazzino svogliato. Sebastian, al contrario, è disperatamente lucido. La sua cruda analisi della realtà suscita l'ira del padre proprio perché colpisce nel segno. La sua riottosità, però, è anche richiesta d'attenzione, al pari di Liza, che, pur mostrandosi serena, manifesta latenti segnali d'inquietudine.

Ci troviamo, insomma, al cospetto di una famiglia operaia di cui Ricky non riesce più a tenere le redini. Il rischio esplosione è alto, occorrerebbe un cambiamento, ma l'uomo è ormai schiavo di un meccanismo perverso da cui non riesce più ad emanciparsi.

 

“Sorry we missed you” è, in definitiva, un film cupo e radicalmente pessimista; racconto dell'odierna negazione dei diritti e dell'impietoso confronto tra passato (simboleggiato dall'anziana sindacalista assistita da Abby) e presente.

Loach non apre a nessuna speranza. Ogni tentativo di ribellione è eliso dalla legge del mercato, ogni esigenza soggiace alla dittatura del consumatore.

Il regista inglese non ha dubbi: ormai siamo un esercito di schiavi.

E allora, sorry we missed you, mister Ricky Turner, ci dispiace di non averla incontrata per consegnarle la sua famiglia, i suoi sogni, la sua vita. Ci dispiace di aver scelto di stare da un'altra parte, quella dei pochi ricchi che continuano ad arricchirsi sulle spalle dei tanti sempre più poveri. Si consoli, però, c'è chi sta messo peggio di lei. In fondo, le abbiamo lasciato un bel furgone bianco. Ci salga su, ne accenda il motore, si faccia un bel giro. Ascolti il rombare impetuoso dei suoi cavalli mentre scala le marce. Se lo goda, mentre corre per noi, per ingrassarci sempre di più.

Ma faccia attenzione a non romperlo. Come ben sa, le spese di riparazione sono tutte a suo carico. D'altra parte, lei è il capo...

 

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