Regista: Roman Polanski

Produzione: Francia

Anno: 2019    

Attori: Luis Garrel, Emmanuelle Seigner, Jean Dujardin

 

 

Il nostro giudizio: Ottimo

Recensione Novembre 2019: Geppetto

 

Possiamo tranquillamente dire che “L’affaire Dreyfus” è stato un momento importante nella crescita delle società moderne, così come le conosciamo noi, che abbiamo la fortuna di vivere in questo spicchio di mondo.

E nelle scuole non sempre l’argomento viene trattato con l’enfasi necessaria, se viene trattato. Eppure ha costituito un importante segnale di svolta nella lotta al pregiudizio, all’esercizio del potere al di sopra di ogni critica, all’oscurantismo irrazionale che si accontenta di verità precostituite e facili in luogo di faticose ma necessarie analisi.

Nelle società occidentali ci sono state nel XX° secolo ricadute devastanti, ecco perché non possiamo che dare il benvenuto alla ricostruzione cinematografica di questa storia di fine ottocento.

Per chi non se la ricorda, riassumiamo sommariamente la vicenda ed il film, che ne fa una efficace ricostruzione. Il Capitano Dreyfus (Luis Garrel), ufficiale ebreo dell’esercito francese è accusato di avere passato notizie segrete ai tedeschi, nemici odiati in particolare dopo che avevano vinto a Sedan e si erano presi una fetta di Alsazia e Lorena.

Dreyfus è condannato e viene deportato all’isola del Diavolo. Il colonnello Picquart (Jean Dujardin - protagonista del film) viene messo a capo del controspionaggio militare e si accorge che Dreyfus è innocente. Inizia qui una sua personale battaglia per far riconoscere questa innocenza e punire il vero responsabile. Gli si opporranno gli apparati militari ai più alti livelli, per difendere il loro operato. Gli si opporranno tutti coloro che non potevano credere che un francese doc. potesse aver tradito e che invece fosse naturale che un ebreo avesse passato notizie al nemico. Gli si opporranno quelle parti politiche che di questo comune sentire erano espressione, diremmo oggi: populisticamente e/o demagogicamente. Gli si opporranno infine anche i magistrati che, pur di fronte all’evidenza dei fatti, per opportunismo o conformismo nella revisione del processo condanneranno lo stesso Dreyfus a dieci anni di galera. A fianco di Dreyfus una parte rilevante dell’intellighenzia dell’epoca e quella parte minoritaria della popolazione che cerca di capire rifiutando verità precotte. Il fatto divenne un “caso” quando Emile Zola pubblicò sull’ “Aurore” un famoso editoriale dal titolo “Jaccuse” (titolo originale del film). Zola si fece un annetto di galera ed anche Picquart fu incarcerato.

Ecco, questo ci racconta Roman Polanski, con grandissima professionalità. Quasi un docu-film con ricostruzioni attentissime, cura estrema del particolare, occhio freddo, senza indulgenze e senza retorica a favore delle vittime. Ritmi serrati ma anche attenti evidenziare ogni passaggio essenziale della vicenda. Un bel film, di quelli che potremmo dire: “di una volta”.

Nei commenti e nella critica al film ovviamente si è evidenziato il carattere antisemita della società francese dell’epoca, e quindi la battaglia condotta sul caso Dreyfus come una battaglia sul razzismo. Questo ovviamente è centrale nella vicenda. Ma c’è molto di più.

“L’affaire Drayfus” è stato forse il primo caso, almeno con tale rilevanza, in cui gli intellettuali dell’epoca si schierarono per la ricerca della verità. Ci fu una grande petizione cui parteciparono le più belle teste di allora in Francia, da Manet a Bizet, da Gide a Anatole France a Proust. Quella che è detta oggi “società civile” forse per la prima volta rivendicò come suo diritto una sorta di controllo democratico. La stampa fece della battaglia sul caso una sua missione: la stampa come guardiana del potere come noi oggi l’intendiamo. La verità come faro, al di là di convenienze conformismi opportunismi.

Le credenze diffuse a prescindere, come atti di fede su cui non si esercita alcun esame critico, su cui non è possibile alcun ripensamento, sono sempre state di ostacolo ad ogni avanzamento sociale. Anche ideologie e religioni sono state spesso di impiccio in questa prospettiva. Esemplificando: la terra al centro dell’universo e Galileo condannato all’ergastolo perché era in grado di dimostrare il contrario. Il divorzio, l’aborto ed il ruolo della donna nella società che deve rimanere inalterato nei secoli. E così via, in un elenco interminabile.

La società francese, come detto, si spaccò all’epoca in dreyfusiani ed antidreyfusiani. Ed il film bene rende questo aspetto. Potremmo dire oggi, con il senno di poi: progresso e conservazione; battaglia sui diritti civili che mai si concluderà e che dovrà essere combattuta giorno per giorno.

Sono questioni che non si risolvono una volta per tutte. Come detto, il trascorso secolo breve ogni giorno ci dovrebbe ricordare la necessità di vigilare affinché le nostre paure, alimentate ad arte, non ci facciano accettare soluzioni facili precostituite. Non è gridando “dagli all’untore” che si sconfigge la peste. Ed in epoca di fake news, in cui ogni scemo ignorante può sparare in rete le sue stupidaggini, dovremmo essere particolarmente vigili.

Un bel film. Premiato a Venezia. E lasciamo fuori le vicende personali del regista ultraottantenne che lui stesso ha un po’ evocato lì, in conferenza stampa. Qui non c’entrano nulla, qui si parla della grande storia, non di fatti che certamente meritano approfondimenti, ma in altre sedi.

Ottimi tutti gli attori, ottima la sceneggiatura cui ha collaborato lo stesso autore del libro da cui è tratto il titolo italiano del film: Robert Harris. Perfette ambientazioni e costumi.

Rimane irrisolta solo la questione che ha posto qualcuno, per sdrammatizzare un po’, all’uscita della sala: possibile che ad inizio novecento tutti gli uomini avessero i baffi? Confessiamo la nostra inadeguatezza a rispondere nel merito.

 

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