Regista: Joe Wright

Produzione: Italia

Anno: 2017

Attori: Gary Oldman, Kristin Scott Thomas

 

Il nostro giudizio: BUONO

Recensione: Marypollon

 

Con protagonista l'irriconoscibile Gary Oldman nei panni di Winston Churchill, la teatrale descrizione del momento storico più difficile per la Gran Bretagna in un film biografico storico.

Seguiamo il protagonista in uno dei momenti più complessi della sua carriera, ovvero quando viene eletto primo ministro alla vigilia dell’ingresso del suo paese nella seconda guerra mondiale.

 

Dovrà decidere se stringere o meno un'alleanza di pace con la Germania di Hitler o continuare la guerra per sconfiggere il nazismo militarmente e soprattutto moralmente.

Il film rappresenta bene il ruolo difficile a cui Churchill va incontro soprattutto da un punto di vista psicologico, dato che l'avanzata di Hitler sembra inarrestabile.

 

Dovrà convincere gli avversari interni al suo stesso partito ed il re, magistralmente interpretati, da un punto di vista militare e soprattutto etico.

 

Come dicevamo Gary Oldman è irriconoscibile grazie al trucco, le sue doti attoriali sono ulteriormente rafforzate dalla fotografia e dalla volontà di metterlo al centro della scena: la scenografia spesso riprende, infatti, un palco. L'interpretazione è dettagliata, nella scelta di espressioni, make-up, corporeità, costumi posture e camminate. Vengono enfatizzati il lato umano, l’anzianità; il protagonista appare infatti gobbo come se avesse su di lui tutto il peso politico di scelte che avrebbero condizionato l'Europa.

 

Interessante anche il voler riprendere le dinamiche di potere interne al partito di Churchill, per segnalare come anche in un momento difficile ci siano rivalità personali e giochi di potere.

 

Molto ben riportate le citazioni ed i discorsi risalenti alla grande arte oratoria di Churchill, la cui genesi è dettagliatamente descritta. I 'popolani' rappresentati dalla figura della dattilografa hanno l'obiettivo di darci una chiave di accesso al protagonista, di ulteriore decodifica nell'ambiguità.

 

Cenni speciali alla color correction, all'illuminazione ed alla fotografia metaforicamente mirata al titolo del film – “the darkest hour” - appunto, ovvero al voler rappresentare la tragica l'epoca passata.

 

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