Regista: Paola Cortellesi

Produzione: Italia

Anno: 2023

Attori: Paola Cortellesi, Valerio Mastandrea

 

 

 

Il nostro giudizio: OTTIMO

Recensione: Nya

 

 

 

"C'è ancora domani" è un film che vede esordire Paola Cortellesi alla regia oltre che essere la protagonista della storia.

Sono andata al cinema senza leggere la trama, non sapendo che tematica trattasse, ma solo perché in giro ne parlavano bene: il famoso passaparola.

Mi sono fidata, e ho fatto bene.

Questo film è la prova che Paola Cortellesi sa fare Tutto. E’ veramente troppo brava: sa recitare, sa cantare, è intelligente, ironica. E sa fare pure la regista.

Ha reso simpatiche anche scene non proprio simpatiche. Ha fatto credere fino all'ultimo un finale per poi spiazzarti con una roba che ti fa ricordare quanto la donna abbia dovuto lottare per essere la donna che è adesso.
Le stesse riprese – è capitato più volte nel film – sono fatte da inquadrature specifiche, da angolazioni così specifiche, che spesso ti sembra di essere lì con loro.
Il film racconta la storia di Delia e del suo essere donna negli anni ’40, sposata con Ivano dal quale ha avuto 3 figli. Pulisce casa (un sottoscala), accudisce i figli, prepara i pasti e, come se non bastasse, si occupa anche del suocero allettato che la considera una brava nuora ma che, a suo avviso, parla e risponde un po’ troppo.
La sua quotidianità era scandita dalle umiliazioni del marito e dai mille lavoretti che faceva per portare a casa qualche lira: rammendando biancheria femminile, riparando ombrelli, lavando e stendendo lenzuola e facendo punture a domicilio, consapevole del fatto che veniva pagata sempre meno rispetto agli uomini, solo perché donna.
Ad ogni piccolo o grande errore in casa il marito le alzava le mani e proprio in quelle scene la Cortellesi mi ha stupito: è riuscita ad alleggerire scene pesanti raccontandole a suon di musica e balli, quasi a renderli dei pezzi di musical ma senza banalizzare il tutto. Il dolore che lei prova viene colto dagli sguardi dei figli o delle vicine che, puntualmente, sentivano tutto.
Gli unici momenti spensierati di Delia sono quelli con l’amica Marisa, che ha un banco di frutta e verdura al mercato, col quale ogni tanto riesce pure a prendere un caffè e fumare una sigaretta, e l’incontro mentre torna a casa dai suoi giri con Nino, il suo amore da adolescente.
Delia un giorno riceve una lettera.
Questa lettera per tutto il film sembra provenire da una persona, sembra un invito a cambiare prospettiva, vita, in maniera quasi fiabesca.
Solo alla fine si capisce il riferimento politico, di vittoria delle donne in un’epoca in cui non sono mai considerate più di tanto.
Era il 2 Giugno 1946: Delia si compra una stoffa nuova, ne fa una camicia, si mette il rossetto e con una scusa esce di casa e si reca a votare.
Il diritto al voto, all’istruzione, alla libertà sono i momenti salienti di questa scena e, ovviamente, di tutto il film che prende tutt’altra piega.
Era da tanto che non vedevo un cinema così pieno di gente, senza neanche una poltrona libera e attaccati allo schermo per 2 ore per poi, alla fine del film, far scoppiare un applauso forte e spontaneo.

Questo film mi ha ricordato di essere grata per tutte quelle cose che posso fare oggi, nonostante io sia Donna.

«Se nasci donna fai già parte di un movimento. Un film per non dimenticare i nostri diritti» ha dichiarato infatti la stessa Paola Cortellesi.

E mi sono sentita in colpa per quell’unica volta in cui non sono andata a votare in vita mia.

Grazie Paola, c’era bisogno di un film come questo.

 

 

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Produttore:: Ron Ames, Christopher Newman

Produzione: Stati Uniti d’America

Anno: 2022

Attori: Morfydd Clark, Lenny Henry, Sara Zwangobani

 

 

 

Il nostro giudizio: discreto

Recensione: Massimo Giachino

 

 

                         

Arriva la serie cinematografica che ci proietta nuovamente nel mondo creato da J.R.R. Tolkien, promettendo di svelarci come furono creati gli Anelli del Potere.

 

TRAMA

Siamo nella II° era della Terra di Mezzo, ovvero circa 1000 anni prima degli eventi narrati nella saga cinematografica de Il Signore degli Anelli. Gli unici punti di congiunzione tra questi mondi così distanti sono appunto gli Anelli del titolo e un personaggio, Lady Galadriel, dama elfica che abbiamo imparato a conoscere ed apprezzare.

Lei sembra l’unica a credere, nonostante lo scetticismo di tutti gli altri, che Morgoth, meglio conosciuto come Sauron, stia tornando. I segni rinvenuti durante il suo peregrinare sono inequivocabili, ma il pensiero comune è che la sua testardaggine in tal senso sia dovuta alla ferita mai rimarginata della perdita di suo fratello, avvenuta per mano di Morgoth stesso.

Parallelamente alla sua storia assisteremo allo svolgimento di altre vicende che andranno inevitabilmente ad intrecciarsi allo Storyboard principale e che riguarderanno altre creature della Terra di Mezzo oltre agli elfi, ovvero nani, orchi, umani, pelopiedi e un misterioso straniero, la cui identità sarà solo suggerita…

L’epilogo di questa prima stagione vedrà, come facile intuire, la creazione dei suddetti anelli e la rivelazione che Sauron,sia effettivamente pronto a tornare con il suo regno delle tenebre.

 

 

RECENSIONE/CONSIDERAZIONI FINALI:

Dopo una gestione piuttosto travagliata legata ai diritti di sfruttamento delle opere di Tolkien, vede finalmente la tanto attesa serie, diventata in breve il più grande investimento ad oggi del settore, voluta fortemente da Jeff Bezos patron del colosso Amazon, che fin dai primi minuti della serie stessa non nasconde la grande ambizione che pervade il tutto.

E’ stato fatto un enorme investimento finanziario che probabilmente verrà ripagato in breve tempo. La spasmodica attesa che si è andata a creare per l’uscita non è stata tradita, registrando numeri imponenti di spettatori, animati dalla grande voglia di tornare nella Terra di Mezzo.

Ma, qualitativamente parlando, sono state rispettate le promesse? Prima di rispondere va fatto un piccolo passo indietro. Va sottolineato come i diritti acquistati da Bezos non riguardino l’intera opera letteraria di Tolkien, ma solo alcuni stralci frammentari dei suoi scritti, e per forza di cose si è dovuto ricorrere ad arrangiamenti ed adattamenti originali, che potranno far storcere il naso ai puristi della saga, soprattutto quella letteraria.

Detto ciò, passiamo ad analizzare le prime 8 puntate da un’ora abbondante ciascuna che costituiscono la prima e discussa stagione de Gli anelli del Potere.

Partiamo dai punti di forza. Senz’altro le ambientazioni e la ricreazione delle città e della Terra di Mezzo in generale. E’ evidente fin da subito il grande sforzo a livello di scenografie ed effetti speciali che è stato fatto, in particolar modo per Numenor, la città portuale degli umani, spettacolare e credibile. Forse l’unica ambientazione che tiene testa alla saga cinematografica de Il Signore degli Anelli (non è un caso che Gondor sia stata eretta da coloro che sopravvissero alla caduta di Numenor stessa).

Il prologo dei primi episodi lascia inoltre molte porte aperte e domande irrisolte che, chiaramente, andranno a trovare risposte nel proseguo della saga, e questo ovviamente crea attesa per gli episodi a venire.

Sui personaggi principali invece vi è qualche riserva. La stessa Galadriel, che è il fulcro attorno al quale tutto ruota, non è probabilmente così epica e caratterizzata come dovrebbe essere.

Morfydd Clark, l’attrice gallese che la interpreta, è lontana anni luce dalla Galadryel interpretata da Cate Blanchette che tutti conosciamo. E’ molto testarda, combattiva, a tratti supponente e poco lucida nelle azioni, senza essere indimenticabile come colei che l’ha preceduta e, soprattutto, non vi è traccia dei poteri che l’hanno caratterizzata nelle pellicole precedenti.

Ma è forse un problema che pervade l’intera saga, non vi sono interpreti memorabili, ma solo buoni attori che cercano di dare spessore ad una serie dal ritmo decisamente sotto le aspettative.

Gli elfi Arondir e Elrond, il nano Durin IV, gli uomini Elendil, Isildur e Bronwyyn, i pelopiedi Nori e Sadoc, lo “straniero” solo per citare i personaggi principali, sono caratterizzati da dialoghi troppo “epici” e a volte sciatti, per risultare veramente interessanti. L’unico, a parere del sottoscritto, a salvarsi dal torpore generale è Helbrand, unico tra l’altro ad usare quel poco di ironia che si trova nella serie.

Assolutamente inadatto al ruolo ho trovato Celebrimbor (Charles Edwards), colui che fisicamente realizzerà gli anelli del potere.

Perfino gli orchi, nell’unica scena di combattimento (attacco agli uomini dell’Est) non sono all’altezza delle loro controparti cinematografiche, ma risultano poco curati e appassionanti se escludiamo Adar, il cui carisma non passa inosservato.

Il tutto è stato inevitabilmente accostato e criticato facendo anche inopportunamente leva sull’inclusione di genere, tema che ha schierato opposte fazioni sul web e che lascio ad altri il compito di giudicare.

Per concludere, una serie dalle infinite potenzialità che, come era prevedibile, parte con il freno a mano tirato per esplorare dapprima i personaggi e, forse, divampare nelle prossime serie per accontentare le richieste dei fan.

Al momento non è indimenticabile per alcuni grossolani difetti di trama e ritmo, che viene al momento rimandata sperando possa correggere in meglio il tutto.

 

LA CURIOSITA’

Per evitare che trapelassero i tanto temuti spoiler prima dell’annuncio della saga, gli attori furono scritturati senza sapere ancora quale personaggio avrebbero interpretato! 

 

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Regista: Paolo Sorrentino

Anno: 2021

Attori: Toni Servillo, Teresa Saponangelo

 

 

 

 

Il nostro giudizio: Ottimo

Recensione: Maria Giovanna

 

Ci ritroviamo nella Napoli, anni '80, Fabietto Schisa (Filippo Scotti) vive un'adolescenza spensierata in compagnia dei genitori Saverio (Toni Servillo) e Maria (Teresa Saponangelo) e dei fratelli Marchino e Daniela. La famiglia, come ogni famiglia del Sud, è attorniata da una platea enorme di parenti e amici che sono molto uniti e nutrono un grande affetto reciproco. Come in ogni famiglia non esiste la perfezione e ci si ritrova a dover affrontare diverse problematiche: Patrizia, la sorella di Maria, bella e spregiudicata, viene picchiata dal marito Franco dopo avergli raccontato di un incontro miracoloso con San Gennaro e il munaciello, dietro il quale si sembrerebbe nascondersi la tendenza della donna a prostituirsi; Marchino, un aspirante attore, viene bocciato a un provino con il regista Federico Fellini, perdendo in questo modo la fiducia nelle proprie capacità; Maria scopre il tradimento di Saverio con una collega di lavoro, decide di cacciarlo di casa in seguito a un furibondo litigio.

Sopra tutti questi eventi ve n’è uno che fa passare in secondo piano ogni cosa: il calciatore Diego Armando Maradona viene acquistato dal Napoli.

I coniugi Schisa dopo un riappacificamento acquistano una villetta a Roccaraso dove passare le vacanze insieme alla famiglia. I genitori propongo a Fabietto di andare con loro in montagna per il fine settimana ma il ragazzo rifiuta perché quella domenica ci sarà la partita Napoli-Empoli, dove avrà la possibilità di vedere giocare il suo idolo Maradona. Quel giorno, Saverio e Maria muoiono a causa di una perdita di monossido di carbonio. La disgrazia getterà nello sconforto e nel dolore i fratelli Schisa. In particolare, Fabietto che rimarrà segnato dal fatto che i medici gli impediscono di vedere i corpi dei genitori. Il ragazzo matura la consapevolezza che, se non si fosse trattenuto a Napoli per la partita, probabilmente sarebbe morto anche lui: a salvarlo, come gli dirà lo zio Alfredo durante la tumulazione dei genitori, "è stata la mano di Dio". Inizia per Fabietto un momento di totale disorientamento, senza punti di riferimento cerca, suo malgrado, di superare il lutto e trovare la sua strada.

Il regista Paolo Sorrentino ci regala la sua autobiografia, in alcuni tratti romanzata e differente dalla realtà dei fatti, di quando alla tenera età di 16 anni perse i genitori, incorniciando la storia in una Napoli di altri tempi che si allontana dallo stereotipo dello spirito stesso della città.

Il film riesce a trasmettere tutta la sofferenza, la disperazione e lo smarrimento di Fabietto che si ritrova in una situazione in cui perde improvvisamente tutta la stabilità e la ricchezza emotiva che la su famiglia gli assicurava e si ritrova a dover convivere con la solitudine. Una solitudine nata, purtroppo, da delle scelte che deve subire, che non sono state fatte da lui e la morte dei genitori rappresenta un momento scioccante e di completa rottura di un equilibrio perfetto ma, allo stesso tempo, rappresenta un inizio, seppur amaro. Piuttosto che lasciarsi andare, dare vita ad un percorso discendente, il protagonista inizia la sua crescita, scoperta e realizzazione.

Troviamo sempre dei personaggi un po' sopra le righe, Sorrentino in questo è sempre molto Felliniano, ma anche persone “normali”, “ordinarie” che ci fanno capire che il regista ha voglia di dire cose nuove. Questo lo capiamo anche nei cambiamenti fatti a livello di squadra di lavoro; infatti, non troviamo il suo storico partner Luca Bigazzi alla fotografia ma la talentuosa cognata del regista Daria D’Antonio; trovano anche delle nuove persone nelle vesti di scenografo, costumista e produttore. Per capire questo cambio di staff possiamo usare le stesse parole di Sorrentino rilasciate a La Repubblica: “Lavorare sempre con le stesse persone è una cosa meravigliosa perché si crea una grande famiglia, una grande intesa però si entra anche in una dimensione di routine; stanchezza reciproca… nessuno sorprende più l’altro e volevo ritrovare un po’ di adrenalina. Ho cambiato anche (…) e soprattutto lo stile”.

Con questa disposizione d’animo, il cinema viene rappresentato come una salvezza e non come un’esigenza soprattutto nel momento in cui Fabietto ha bisogno di raccontare e raccontarsi. La scena con il regista Capuano che aiuta il ragazzo a cercare la sua identità è la parte più potente del film e che ci fa capire quali siano le origini di Paolo Sorrentino come regista che, come Fabietto, ha trovato la strada per non disunirsi. 

La pellicola è un mix tra commedia e tragedia, ci ritroveremo ad alternare momenti di risate a momenti di grande intensità; il film racconta i legami e la vita familiari, l’identità personale e l’elaborazione del lutto ma ci regala anche la narrazione dell’anima della vera Napoli.

È il film più intimo, affascinante ed essenziale di Sorrentino; un racconto maturo e commovente che viene valorizzato magistralmente da un cast umanamente vincente.

 

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Regista: Jaume Collet-Serra

Produzione: Stati Uniti d’America

Anno: 2021

Attori: Dwayne Johnson, Emily Blunt, Jack Whitehall, Edgar Ramirez, Jesse Plemons, Paul Giamatti, Andy Nyman, Quim Gutierrez, Veronica Falcon, Dani Rovira, Simone Lockart

 

 

 

 

Il nostro giudizio: buono

Recensione: Massimo Giachino

 

 

 

Un’avventura dai risvolti fantastici ci conduce alla ricerca di un leggendario albero dagli straordinari poteri curativi lungo il Rio delle Amazzoni.

 

TRAMA

Siamo nel XVI secolo, e un manipolo di conquistadores spagnoli si avventura nella jungla brasiliana alla ricerca delle “lacrime della luna”, ovvero i fiori di un leggendario albero capace di ogni tipo di guarigione, compresa l’annullamento delle maledizioni.

Purtroppo l’esito non è quello sperato, e i conquistadores vengono maledetti dalla tribù locale che ne protegge il segreto, condannandoli a una vita eterna senza potersi allontanare dal Rio delle Amazzoni, e diventando parte integrante della natura stessa.

Nel 1916 la dottoressa Lily Houghton e suo fratello McGregor riportano alla luce la leggenda delle “lacrime della luna” venendo in possesso, in maniera poco ortodossa, di un’antica punta di freccia che potrebbe svelare l’esatta ubicazione della fantomatica pianta.

Di poco precedono il Principe Joachim, un aristocratico tedesco che insegue anch’egli la leggenda, convinto che i poteri dell’albero potrebbero far vincere la guerra alla Germania.

Partiti per il Brasile, Lily e McGregor si imbattono in un curioso personaggio che si fa chiamare Frank Wolff, il quale organizza viaggi turistici con la sua barca, chiamata La Quila, sul Rio delle Amazzoni.

Frank, a sua volta, non è estraneo al mistero delle “lacrime della luna” e, anzi, si scoprirà essere anch’egli interessato al ritrovamento dell’albero, per un motivo ben preciso.

Al loro inseguimento, per non farsi mancare nulla, si aggiunge anche il Principe Joachim di cui sopra, a capo di un sommergibile tedesco.

Tra inseguimenti, duelli, apparizioni e scontri all’ultimo sangue con creature fantastiche e tribù locali, Lily, McGregor e Frank riusciranno infine a venire a capo del mistero e trovare l’albero a lungo inseguito, realizzando infine le speranze di ognuno di loro e cambiando per sempre il futuro della medicina.   

 

 

 

RECENSIONE/CONSIDERAZIONI FINALI:

Jungle Cruise è una delle maggiori attrazioni dei parchi Disney divenuta fonte di ispirazione per una pellicola cinematografica, com’è stato precedentemente per La casa dei fantasmi e Pirati dei Caraibi.

La Walt Disney, probabilmente sperando di dar via ad un fortunato franchise come è avvenuto per i 5 film con protagonista Capitan Jack Sparrow, realizza questa pellicola avventurosa e dai toni fantasy che ci porta nella jungla brasiliana dei primi del ‘900.

Il regista Jaume Collet-Serra (Paradise Beach – L’uomo sul treno) confeziona un moderno blockbuster con tutte le carte in regola per diventare in breve un classico dell’avventura.

Emily Blunt e Dwayne Johnson sono i due protagonisti principali che, bisogna ammetterlo, ben figurano e si amalgamano per tutte le due ore della pellicola.

I loro personaggi sono ben strutturati e caratterizzati con ironia ed accuratezza, adattandosi perfettamente al contesto in cui vengono catapultati.

La regia non vi darà tregua, proprio come l’attrazione da cui deriva è uno spettacolo per gli occhi (da notare i toni seppiati che rendono furbescamente quell’aria retrò) in un continuo ribaltamento di situazioni surreali e divertenti, sfidando continuamente le leggi della fisica.

Non manca la componente fantasy (i conquistadores maledetti) che, inutile negarlo, non possono che riportare alla memoria la ciurma di Davy Jones o del Capitano Salazar, di piratesca memoria.

Tirando le somme, è un prodotto in cui probabilmente fa più bella figura la “confezione” del contenuto, ma che non deluderà chi cerca avventura, ironia e fantasy di qualità.

 

 

 

LA CURIOSITA’

Alcune battute che Frank utilizza durante i suoi tour turistici in Jungle Cruise, sono riprese pari pari dagli skipper che le utilizzano sull’omonima attrazione nei parchi dei divertimenti

 

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La notte più lunga dell’anno

Regista: Simone Aleandri

Produzione: Italia

Anno: 2022

 

 

 

 

 

Il nostro giudizio: MOLTO BUONO

Recensione: Cristina Giammito

 

 

Una Potenza notturna fa da sfondo a vicende che si sfiorano, mostrando fragilità e consapevolezze. Tra i paesaggi caratteristici lucani si stende il vissuto di persone che vivono “la notte più lunga dell’anno”, quella compresa tra il 21 e il 22 dicembre: una cubista stanca del proprio tenore di vita, ma decisa ad apportarvi un radicale cambiamento; un politico in forte crisi tenta di schivare il proprio destino, l’amante di una donna più grande combatte contro un sentimento contrastato; tre ventenni privi di ambizioni ma desiderosi di vivere l’intensità delle emozioni si imbattono nella città dormiente. Sembra una notte qualunque, pacata e immobile; in realtà, in essa le loro vite si agitano muovendo i sottili fili dell’esistenza. Sergio, un benzinaio sempre presente nella stazione di rifornimento, assiste allo scorrere del tempo con attenzione e mostra una singolare sensibilità per le emozioni altrui che vede passare dinanzi a sé. Non spoglia di imperfezioni, la pellicola mostra il lento evolversi degli eventi, guidando lo spettatore passo dopo passo verso una visione introspettiva. Si scava all’interno dell’animo umano, arrivando a toccarne la profondità. La carica emotiva è palpabile, arricchita da dialoghi fitti alternati a silenzi riflessivi. I malesseri e le insoddisfazioni trovano libero sfogo in azioni impulsive, parole vomitate sullo schermo che lasciano l’amaro, favorendo al contempo uno slancio vitale che induce i personaggi a reagire all’immobilità, a non bloccarsi in un vissuto paralizzante. Ciascuna storia è il riflesso di una realtà che graffia ma non annienta. Le svariate situazioni presentate abbracciano interrogativi: Chi sono? Chi voglio essere? Domande relative al valore di sé stessi e del proprio ruolo nel mondo sono il timbro che si imprime sulle scene, segno distintivo di ciascuna personalità messa in mostra.

Infine, è da apprezzare la scelta dell’ambientazione ricca di luoghi degni di essere mostrati al grande pubblico. Ciò fa ben sperare nell’avvenire cinematografico di una terra che da sempre custodisce meraviglie non indifferenti.

 

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